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Angelo Caramaschi è un veterinario mantovano molto conosciuto e apprezzato, dagli allevatori, ma anche dai veterinari, essendo presidente dell’Ordine dei Medici veterinari di Mantova. Da tanti anni, per il suo lavoro, è presente nelle stalle da latte e delle stalle da latte ha visto nel tempo cambiamenti e adattamenti dettati dal mutare delle situazioni.
Quello che stiamo vivendo ora è uno dei quei passaggi storici che determinano un cambio di passo nel lavoro dell’allevatore di vacche da latte. Sono cambiamenti a volte temuti perché vanno a modificare una routine collaudata, impongono attenzioni nuove, richiedono formazione e impegno, ma alla fine si rivelano meno problematici di quel che si pensava, la gestione ne guadagna e ne guadagna anche la redditività della stalla. Insomma, la paura della novità il più delle volte non ha ragione di essere.
Angelo Caramaschi, partiamo da qui: si teme il cambiamento, ma poi si scopre che era meno complicato del previsto e, con un po’ di impegno, le cose spesso migliorano…
Proprio così. In questo periodo abbiamo avuto tante novità che hanno riguardato la stalla da latte e il lavoro dell’allevatore e che, prima che fossero introdotte, venivano viste con grande preoccupazione. Faccio qualche esempio. Passare alla registrazione elettronica dei trattamenti era una cosa che veniva vista con terrore. Dopo solo un mese di nuovo corso non c’era più uno solo dei miei allevatori che sarebbe tornato al sistema cartaceo. Faccio un altro esempio. Il divieto all’utilizzo della colistina, un farmaco che aveva un suo utilizzo diffuso soprattutto nelle vitellaie. Rinunciare alla colistina significava – nei timori della vigilia – andare incontro a chissà quali disastri: vitelli che si sarebbero ammalati, impossibilità di cura, aumento insostenibile della mortalità. E invece è bastato lavorare sul miglioramento del livello igienico-sanitario e migliorare il benessere per fare sì che i vitelli si ammalassero molto meno, non morissero come temuto e, anzi, crescessero meglio e utilizzando meno farmaci.
Sarà così anche per l’asciutta selettiva? Anche questo è un cambio importante nella routine gestionale a cui tutti hanno dovuto adeguarsi. Cosa vede dal suo punto di osservazione?
L’asciutta selettiva è una pratica che per tanti allevatori era già in uso da tempo senza problemi. Per altri invece è qualcosa visto con fastidio e preoccupazione. Sono aziende nelle quali in passato ci sono state esperienze di asciutta selettiva fatta male, con aumento dei problemi sanitari e quindi grande diffidenza verso questo nuovo approccio. Abbandonare l’uso a tappeto dell’antibiotico alla messa in asciutta e limitarsi al solo sigillante non è una cosa da poco e non va presa alla leggera. Serve formazione e servono spiegazioni all’allevatore su come fare le cose al meglio. Innanzitutto c’è la necessità di disporre di dati per capire quali animali vanno trattati e quali invece no. Non vedo come possa essere fatta asciutta selettiva, quindi, in stalle non iscritte e quindi prive dei dati sui controlli funzionali. Una volta definito quali sono le vacche a cui non fare il trattamento antibiotico, ma solo il sigillante, bisogna poi essere certi che questo sia messo come si deve. Mi spiego. L’applicazione del sigillante nel capezzolo non è una cosa da niente, ma un’operazione delicata che va fatta con cura e che richiede la massima igiene. Se no uno sigilla il quarto e la mammella, ma siccome non ha pulito bene il capezzolo o non ha usato il guanto – per dire – dentro quel quarto avrà sigillato per bene anche tanti batteri. Passano due giorni e ci si ritrova magari una grave mastite da coli. Quindi attenzione, l’asciutta selettiva va affrontata con la massima attenzione. Allargando il discorso, ciò si inserisce nel nuovo approccio verso l’uso degli antibiotici: le norme non ti impediscono di usare l’antibiotico. Ti chiedono soltanto di spiegare perché lo usi e se non potresti fare diversamente per avere lo stesso risultato. È un nuovo modo di lavorare: vale per l’allevatore, ma anche per il veterinario.
Restiamo in argomento mastite. Fino ad alcuni anni fa l’antibiotico era da fare subito, sempre e comunque, al primo sintomo di mastite. Cosa è cambiato?
Fino a un paio di anni fa la convinzione generale era: “Se non fai subito l’antibiotico chissà che disastro”, e che fatica a convincere l’allevatore che si poteva andarci un po’ più cauti. Ora certe resistenze sono venute meno. Usare prima un antinfiammatorio, fare abbassare la temperatura, aspettare 12 ore e poi vedere la situazione, in certe occasioni porta a constatare che la mastite c’era la mattina, ma alla sera il problema si è di molto ridimensionato. Quindi l’antibiotico non era necessario. Un aiuto può arrivare anche dai kit di stalla. Attenzione, non dobbiamo trasformare la stalla in un laboratorio, ci mancherebbe. Il test rapido basta che mi dica cosa ho di fronte, se continuare con la terapia antinfiammatoria o usare un antibiotico. È un risultato che posso avere in 12 ore, e questo è di grande aiuto in un’ottica di benessere e di riduzione dell’uso di antibiotici. Perché non bisogna mai dimenticare che la bovina ha un sistema immunitario che lavora e lavora meglio quanto più ci sono condizioni di benessere. La sanità della mandria deve partire in primo luogo dalla capacità della bovina di cavarsela con gli strumenti di cui dispone.
Più benessere significa dunque animali più sani, resistenti e quindi meno antibiotici. Possiamo dare per ormai assimilato da tutti gli allevatori questo concetto?
Qui dobbiamo fare qualche distinzione. C’è la fascia di coloro che su questo argomento sono sempre stati sensibili e da tempo hanno raggiunto risultati importanti. C’è però anche un certo numero di allevatori meno presenti alle tante occasioni di formazione e aggiornamento e quindi un po’ in ritardo sulla loro applicazione in stalla. Questi dovranno recuperare più di altri. Il fatto nuovo, e per me estremamente positivo, è stato il ruolo del Consorzio del Parmigiano Reggiano che ha messo a disposizione incentivi economici per il miglioramento del benessere animale e per la riduzione del consumo di antibiotico. Da imprenditore, anche l’allevatore è attento a ogni forma di incentivo. L’approccio premiante del Consorzio è stato così vincente, perché ha innescato un processo virtuoso di miglioramento nelle stalle. Ha fatto passare concretamente il messaggio che il benessere animale porta un beneficio che si riflette su tutte le altre problematiche della stalla. Finché lo raccontavamo noi tecnici lo capiva solo qualcuno più motivato. Ora il messaggio è arrivato a tutti e i dati di adesione ai Bandi del Consorzio lo dimostrano.
E la conferma che si è messo in moto un processo virtuoso l’ho anche dalle continue richieste di allevatori che mi chiedono cosa fare per avere l’anno prossimo uno status nel consumo di antibiotici migliore rispetto a quest’anno.
Tra i temi caldi di questi mesi c’è sicuramente anche il costo delle materie prime e la criticità negli approvvigionamenti. Un discorso che si innesta su quello più ampio della capacità di una azienda di prodursi la maggiore quantità di alimenti. Vale per tutte le stalle. Per quelle che fanno latte da Parmigiano Reggiano c’è qualche sottolineatura in più da fare?
Il mio consiglio è quello di puntare al massimo sulla produzione aziendale di fieno. Produrre più fieno possibile e della migliore qualità. Questo è quello che fa la differenza. Una stalla che può contare su ottimi fieni di sua produzione è in grado di sfruttare al meglio anche ciò che deve per forza acquistare sul mercato. Al di là di ciò che può essere la bontà di un mangime industriale, infatti, se disponi di una base di foraggi di ottima qualità anche tutto il resto va meglio e i mangimi danno risultati migliori.
E se dovesse dare un consiglio finale agli allevatori?
Direi di usare meglio possibile la grande quantità di dati di cui dispongono. Raccogliere dati è un costo, ma sono un grande valore e proprio per questo vanno utilizzati al meglio. Le decisioni vanno prese partendo dall’analisi dei dati. Vale per l’allevatore e vale anche per il veterinario. Ai giovani veterinari che si affacciano alla professione dico sempre che devono basare il loro lavoro soprattutto sulla valutazione dei dati, sulla loro analisi. Dati da raccogliere, da interpretare e su cui basare le scelte operative. Non solo attenzione ai dati tecnici, ma anche a quelli economici. La poca famigliarità con la dimensione economico-finanziaria porta a fare scelte di investimento su aspetti marginali o poco redditizi.