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Caratteristiche del latte e difetti di crosta del Parmigiano Reggiano

Nella tecnologia del Parmigiano-Reggiano l’insieme delle diverse caratteristiche (igienico-sanitarie e tecnologiche) del latte rivestono un’importanza basilare per l’ottenimento di formaggi di pregio esenti da difetti strutturali.

In questa nota tecnica tratteremo le anomalie della crosta associandole alle caratteristiche della materia prima che ne possono favorire l’insorgenza.

La crosta del formaggio Parmigiano-Reggiano deve essere integra, regolare, liscia, di un colore che va dal chiaro al paglierino a seconda dell’età e della stagione di produzione e priva di “pieghe” (fessurazioni), screpolature, rugosità o avvallamenti.

Le funzioni principali della crosta dei formaggi grana sono quelle di preservare la pasta da perdite eccessive di umidità modulando gli scambi tra l’interno del formaggio e l’ambiente e di rallentare lo sviluppo di muffe o di altri microrganismi che potrebbero alterarne l’aspetto, la struttura interna, il sapore e l’aroma.

La superficie esterna della forma di Parmigiano-Reggiano ha, anche, una notevole importanza commerciale.

Le difettosità presenti sulla crosta, infatti, possono, in taluni casi, estendersi anche alle zone di pasta sottostante modificandone in parte la struttura e determinando una notevole perdita di prodotto vendibile.

Alcune di queste anomalie si presentano, sulla crosta, già in fascera, dopo 24-48 ore dalla produzione e prima della salatura, ma la maggior parte, più frequentemente, compaiono solamente durante la stagionatura; in genere si tratta di zone a struttura anomala di diverse dimensioni e conformazione, localizzate sullo scalzo o in piatto, che evolvono successivamente in difetti di diversa gravità.

I difetti di crosta del Parmigiano-Reggiano sono solitamente denominate “correzioni”, poiché la zona della forma interessata dall’anomalia viene talvolta “corretta”; si asporta la porzione di pasta ammuffita o alterata fino al raggiungimento della parte integra e, successivamente, se ne cauterizza la superficie per mezzo del calore. 

Smorbi o “bianchi”

Si evidenziano sulle forme già a partire dal secondo giorno di produzione; compaiono sullo scalzo o sui piatti delle macchie bianche (Figura 1) dalle quali può spurgare del siero torbido.

Figura 1. Piatto di una forma di Parmigiano-Reggiano che presenta un ristagno di umidità – “bianco” o “smorbio”.

Il latte prodotto da bovine affette da turbe mammarie presenta delle alterazioni fisico-chimiche che ne modificano le normali caratteristiche lattodinamografiche dando origine a cagliate deboli, poco elastiche e umide.

Il latte mastitico caglia molto lentamente e il coagulo risulta dotato di scarsa elasticità, contrattilità e ridotta capacità di sineresi. I granuli caseosi non si disidratano in misura adeguata durante la fase di cottura in caldaia e perdono la capacità di coesione.

Le forme ottenute dalla caseificazione di una certa aliquota di latte con elevate cellule somatiche risultano caratterizzate da una pasta non omogenea e non uniformemente disidratata; i ristagni di siero visibili sulla superficie esterna possono espandersi sottocrosta, interessando in genere i primi 2 o 3 cm, o scendere anche più in profondità verso il centro della forma.

Se non si ottiene un’asciugatura omogenea prima della messa in sale del formaggio – che in presenza di queste anomalie viene di solito ritardata di uno o due giorni – nel corso della maturazione la pasta di queste zone perde elasticità, diventa “gessosa” e va incontro a screpolature.

Nelle parti interessate dal difetto, durante la stagionatura, penetrano delle microflore fungine o putrefacenti che alterano la pasta. Se non viene prontamente effettuato un intervento correttivo può essere compromessa anche la struttura interna del formaggio.

Screpolature o “fioriture” in “scalzo”

Le screpolature o “fioriture” della crosta interessano di solito una parte dello scalzo e sono causate dalla caseificazione di latte con elevata carica microbica o da imprecisioni tecnologiche (figura 2).

Figura 2. Forma di Parmigiano-Reggiano interessata da screpolature sullo scalzo.

La presenza all’estrazione della massa caseosa dalla caldaia di “fontanelle” o di “polvere” sulla “bocca” predispone alla manifestazione del difetto. La “polvere” è costituita da granuli di cagliata troppo asciutti, duri, demineralizzati e che presentano scarse caratteristiche di elasticità e coesione.

L’abbassamento eccessivo del pH nel latte, durante la caseificazione, dovuto a una acidificazione anomala provocata della flora microbica presente comporta un’alterazione del giusto equilibrio tra azione acida e azione enzimatica.

Un eccessivo incremento dell’azione lattica produce una demineralizzazione delle micelle di caseina con relativo peggioramento delle caratteristiche reologiche della cagliata.

Anche errori tecnologici, quali una troppo elevata temperatura di cottura o una eccessiva consistenza del coagulo prima della rottura con lo spino, determinano il difetto. La “polvere” deve essere immediatamente asportata poiché non si amalgama con la restante pasta sana.

Puntini” o “fioriture” sui piatti

Il difetto si presenta principalmente nelle forme prodotte nei mesi invernali. Alcuni mesi dopo la salatura compaiono, su uno dei piatti della forma, delle screpolature puntiformi, inizialmente superficiali, di colore scuro per la penetrazione di microflore fungine, del diametro di circa 3-4 millimetri e che raramente oltrepassano i 2 cm di profondità (Figura 3). Nel proseguo della stagionatura si assiste, in genere, ad un progressivo ampliamento della zona interessata dall’imperfezione.

Figura 3. Piatto del “taglio” di una forma di Parmigiano-Reggiano che presenta “fioriture” puntiformi.

Il piatto compromesso è quasi sempre quello del “taglio” e raramente l’anomalia compare in entrambe le superfici piane della forma. Il piatto del taglio, infatti, raffreddandosi più velocemente perché maggiormente esposta alle condizioni climatiche esterne, acidifica, anche, più intensamente.

È necessario prestare particolare attenzione ai tempi che intercorrono tra la messa in fascera e la prima voltatura, ai dosaggi di siero-innesto e alle condizioni ambientali della sala spersoli soprattutto nei mesi freddi.

Lo sgrondo del liquido interstiziale procede preferenzialmente verso il basso, ma in parte anche verso la parte superiore della forma e i ribaltamenti periodici della massa caseosa, effettuati con maggiore frequenza il primo giorno di produzione, sono necessari per evitare eventuali ristagni localizzati di siero sulla sua superficie.

Il diverso gradiente di temperatura che si instaura nelle prime ore di formatura tra esterno ed interno nelle forme di Parmigiano-Reggiano provoca anche una diversa dinamica di acidificazione tra periferia e centro della forma; il fenomeno risulta marcato, se le forme stazionano in ambienti non riscaldati, soprattutto nei mesi freddi.

Nell’anello periferico l’abbassamento del valore di pH nella massa caseosa avviene velocemente e un eventuale ristagno di siero acido sul piatto, a contatto con il “tagliere”, può provocare la demineralizzazione della pasta. Si formano delle screpolature superficiali in cui, in seguito, si ha lo sviluppo di muffe.

Se, al contrario, l’anomalia compare sul piatto corrispondente alla “rigatura”, occorre esaminare l’operatività post-estrazione e soprattutto la gestione della cagliata dal momento della “gemellatura” alla formatura sullo “spersole”. Le due forme ottenute dalla divisione della massa caseosa non devono restare, soprattutto nei mesi invernali, sospese in caldaia nella tela per più di 10-15 minuti prima della messa in “fascera”.

Inoltre, durante questo intervallo, non bisogna procedere allo svuotamento completo della caldaia dal siero “cotto” poiché così operando si favorirebbe un eccessivo raffreddamento della forma.

Un allungamento dei tempi di esecuzione di questa operazione favorisce una impermeabilizzazione della superficie esterna, soprattutto nella zona opposta al taglio che si trova posizionata nella parte superiore della caldaia. La pasta presente in superficie raffreddandosi tende ad ostruire i pori impedendo l’uscita del siero interstiziale che si accumula sottocrosta.

Il piatto, apparentemente asciutto alla messa in salamoia, durante la stagionatura, rilascia l’umidità accumulatasi sotto la superficie esterna permettendo la crescita di microflore anomale.

Flavio Tosi

Salchim Soc. Coop.

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