Alcuni casi di afta epizootica sono stati rilevati nei giorni scorsi nella regione del Märkisch-Oderland (Brandeburgo), in un allevamento di bufali.
Un piccolo allevamento, ma posto in un’area ad alta presenza zootecnica e con forte produzione di latte.
La ricomparsa dell’afta ha creato allarme in tutta Europa per la quantità di specie che coinvolge (bovini, suini, ovicaprini: tutti gli animali a unghia fessa), per la facilità con cui si diffonde e per l’impatto a livello economico.
In Europa, l’ultimo focolaio è stato segnalato in Bulgaria nel 2011, mentre il più devastante risale al 2001 nel Regno Unito. Nel 2001 vennero infettati dal virus dell’afta 10 milioni di animali con perdite economiche quantificate in 8 miliardi di sterline.
Il Regno Unito, insieme a Messico e Corea del Sud, ha vietato l’importazione di bovini, ovini e suini dalla Germania.
Come spiega il dott. Giorgio Micagni, presidente dell’Ordine dei Medici veterinari di Reggio Emilia, al momento non sono state prese misure specifiche nel nostro Paese, salvo un richiamo alla massima allerta. “L’attuale presenza dell’afta epizootica in Europa porterà necessariamente a un rafforzamento dei nostri sistemi di sorveglianza e prevenzione.
Al momento la situazione è circoscritta e le autorità sanitarie tedesche hanno messo in atto tutte le misure previste. Vedremo nei prossimi giorni se si è trattato solo di un caso isolato, e allora l’allarme potrebbe rientrare, o di qualcosa di più serio.
Nel frattempo, va sicuramente innalzato al massimo il livello di attenzione alla biosicurezza e alle importazioni dalla Germania. In ogni caso di dubbio o incertezza il consiglio è quello di consultare i Servizi veterinari”.
Tuttavia, spiega ancora il dott. Micagni, c’è un fattore di particolare criticità in materia di afta epizootica e di prevenzione della infezione che ci riguarda da vicino ed è la massiccia circolazione del virus in tutto il nord Africa, dove la malattia è endemica.
“Considerando i flussi massicci di persone in arrivo da queste aree, l’alto numero di addetti nelle nostre stalle, non va sottovalutata la situazione di potenziale rischio.
Questo è un pericolo reale su cui – a livello di autorità veterinarie – si era posta l’attenzione già da prima dei casi tedeschi di afta epizootica. È importante quindi, tra le misure di vigilanza e di biosicurezza da rafforzare a livello di singola stalla, la sensibilizzazione di tutti i lavoratori coinvolti, in particolare quelli di provenienza nordafricana o che possono avere contatti con persone provenienti da quelle aree, sui rischi di trasmissione dell’afta epizootica, ad esempio portando in Italia alimenti presi in loco e potenzialmente contaminati dal virus”.
“Tutto ciò, in termini di attenzione e vigilanza – conclude Giorgio Micagni – vale ovviamente anche per gli allevamenti del Comprensorio del Parmigiano Reggiano, che però ha un piccolo vantaggio, in una situazione come questa, dato dalle norme del Consorzio riguardanti le restrizioni all’ingresso di capi vivi provenienti da fuori Comprensorio”.