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Amminoacidi e latte: la lezione (molto pratica) di Van Amburgh

C’è un punto fermo che emerge dalla ricerca più aggiornata sull’alimentazione delle bovine da latte: non è la “proteina grezza” a fare la differenza, ma il profilo amminoacidico della razione, letto sempre in rapporto all’energia realmente disponibile.

È il cuore dell’intervento del prof. Mike Van Amburgh (Cornell University) in un recente convegno (*) che ha proposto un cambio di prospettiva utile a chi deve tenere insieme produzione, qualità del latte e sostenibilità. Messaggi per tutti gli allevatori di vacche da latte ad alta produzione, ma con accenti specifici per chi fa latte da Parmigiano Reggiano.

Mike Van Amburgh

Il ragionamento parte da un dato semplice: le vacche moderne hanno un potenziale produttivo molto più alto di quello per cui sono stati costruiti i vecchi fabbisogni. Se, in questa cornice, manca anche un solo amminoacido limitante, la vacca continua a consumare energia per sintetizzare latte, enzimi, grassi… senza arrivare al prodotto finito. In altre parole, lavora a vuoto. Da qui l’invito a spostare l’attenzione dall’aumentare genericamente la proteina a bilanciare con precisione gli amminoacidi essenziali.

La conferma arriva anche dai numeri ambientali.

Nelle prove presentate, la variabilità più marcata dell’azoto escreto è nell’urina, non nelle feci: un segnale che l’inefficienza sta soprattutto nell’uso degli amminoacidi, non nella sola digeribilità della proteina. Bilanciare correttamente significa quindi più latte utile per kg di sostanza secca e meno azoto disperso.

Quali, allora, gli amminoacidi da presidiare? Van Amburgh ha richiamato i “soliti noti” – lisina e metionina – ma ha insistito anche su istidina e, nei contesti di altissima produzione, sui ramificati (leucina, isoleucina, valina), sempre più collegati alla sintesi di caseina. In sistemi lattiero-caseari dove la resa in caldaia è cruciale, la stabilità della materia utile dipende molto da questi equilibri. L’indicazione operativa è abbandonare l’idea di “aggiungere un pezzo” quando serve: l’integrazione funziona solo se tutti i limitanti sono coperti nel giusto rapporto.

C’è poi un aspetto di tempistica. Il livello produttivo della bovina si decide all’inizio lattazione: è lì che il bilanciamento degli aminoacidi ha il massimo ritorno. In seguito è più facile modulare la composizione (grasso e proteina) che non il volume di latte. Per questo, nelle settimane attorno al parto, il rapporto fra amminoacidi metabolizzabili ed energia della razione va impostato con la stessa cura con cui si cura la transizione: analisi dei foraggi, stima aggiornata dei fabbisogni in grammi per giorno e non solo in percentuali, scelta delle fonti proteiche in funzione del profilo complessivo, non del titolo grezzo.

Tradotto nella pratica quotidiana, significa ragionare con modelli che esprimono i fabbisogni amminoacidici per unità di energia, verificare se i foraggi disponibili (medica, prati polifiti, fieni di prato stabile) coprono davvero quegli obiettivi e, se necessario, intervenire sulla combinazione delle materie prime o sulla loro lavorazione per migliorare l’efficienza dell’amido e dell’azoto.

In contesti dove non si usano insilati (e qui la cosa ci riguarda direttamente) e l’equilibrio tra energia e proteina è più delicato, questo approccio “di fino” diventa spesso la chiave per consolidare caseina e proteina vera senza spingere i consumi.

L’ultimo tassello è gestionale. Una nutrizione amminoacidica coerente funziona se tutto il resto è allineato: acqua in abbondanza e pulita, foraggi altamente digeribili e omogenei, benessere (riposo, microclima, routine stabili) e una routine di mungitura che non introduca variabilità inutile. Sono condizioni che permettono al bilanciamento amminoacidico di tradursi in ciò che interessa all’azienda: più efficienza energetica, più materia utile e meno scarti d’azoto.

Il messaggio del prof, Van Amburgh, in sintesi, è molto pragmatico: non si tratta di “caricare proteina”, ma di mettere gli amminoacidi giusti al posto giusto, nel momento giusto, misurandoli con gli strumenti adeguati. È un passo in più verso quel precision feeding che aiuta le mandrie a esprimere il proprio potenziale e a dare al latte una qualità più costante e una resa migliore.

(*) Seminario Balchem “Ridefinire l’importanza degli aminoacidi: nuovi aspetti scientifici”

Bergamo, 25 settembre 2025