Il fieno è importante, ma solo fieni di grande qualità possono soddisfare i fabbisogni di animali sempre più produttivi e performanti.
E se il concetto ha una sua validità generale, è invece fondamentale per chi fa latte da Parmigiano Reggiano, perché il disciplinare richiede grandi quantità di fieno in razione (non meno del 50% rispetto ai concentrati) e i fabbisogni nutrizionali delle bovine possono essere soddisfatti solo se la quota foraggera è di elevata qualità.
Ma non è tutto.
Dato che il 75% dei foraggi utilizzati deve provenire dal Comprensorio del Parmigiano Reggiano, ciò significa che le quantità e la qualità necessarie debbano essere, il più possibile, prodotte in azienda.
E su questo c’è da lavorare, in primis migliorando le pratiche di raccolta e di essiccazione.
È proprio in questa fase che si perde tanta qualità e tanta quantità, in particolare se si tratta di fieno di medica, che è poi l’architrave foraggera sui cui si regge l’allevamento da Parmigiano Reggiano.
L’argomento è stato al centro di un convegno di Fieragricola, organizzato da Informatore Zootecnico in collaborazione con il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, dedicato proprio alle buone pratiche della fienagione, dal campo alla stalla.
Come ha ricordato Marco Nocetti, del Servizio di Produzione primaria del Consorzio, il fieno per il Parmigiano Reggiano è basilare per tanti aspetti, tutti estremamente importanti. C’è la questione prettamente nutrizionale delle bovine, ovviamente, ma non è tutto.
Il Parmigiano Reggiano deve tanto della sua specificità alla particolare flora microbica mesofila presente nel suo latte, che a sua volta la si può ritrovare nei fieni del territorio, dove da 50-60 anni ormai non si fa uso di insilati.
Un comprensorio, quello del Parmigiano Reggiano, che può tranquillamente produrre tutto il fieno di cui necessita per le stalle della Dop, stando a recenti studi mirati, ma serve un miglioramento nella fase di produzione, da cui recuperare quantità e qualità.
E l’essiccatoio aziendale è sicuramente l’elemento chiave per arrivare a questo risultato.
Dati alla mano ne vale la pena.
Sono ad esempio quelli che ha presentato nella sua relazione Alberto Palmonari, dell’Università di Bologna, che si è soffermato sugli aspetti più prettamente nutrizionali dell’utilizzo di razioni con fieni di qualità.
È la frazione di fibra digeribile del foraggio che fa la differenza ed è un aspetto che può essere influenzato decisamente dalla fase agronomica.
La velocità di maturazione della pianta (e quindi la digeribilità della fibra) cambia in maniera diversa a seconda delle condizioni ambientali e molto velocemente: non è certo la stessa cosa avere dei foraggi tagliati giovani o in fase di maturazione avanzata.
Per questo bisogna avere cantieri di lavoro efficienti, veloci e commisurati alle superfici.
Si devono quindi scegliere i piani colturali così come l’inizio dello sfalcio in funzione anche delle capacità di raccolta.
Deve poi essere massima l’attenzione a portare in azienda la maggior quantità di foglie della pianta, perché è proprio la fibra delle foglie, non strutturale, a decidere della maggiore o minore digeribilità della fibra presente nel fieno.
E, attenzione: come ha sottolineato il relatore, sono le bovine più produttive a beneficiare maggiormente di razioni nelle quali la componente foraggera ha una frazione di fibra digeribile più alta.
Da ciò ne risulta la necessità di conoscere analiticamente i propri fieni e usare foraggi con fibra più digeribile soprattutto nelle bovine con maggiori esigenze nutrizionali, segmentando i foraggi nelle razioni in base alle loro caratteristiche.
Il prof. Igino Andrighetto dell’Università di Padova, altro importante relatore del convegno di Verona, ha portato ulteriori argomenti a favore della necessità di fare meglio il fieno per la stalla, alla luce delle tante prove di campo da lui svolte negli ultimi anni, che hanno messo a confronto fieni (specialmente di medica) fatti in maniera tradizionale, quindi essiccati in campo, con fieni ottenuti mediante essiccatoio.
La differenza la fanno le fibre solubili, come pectine ed emicellulose, presenti in maggior misura nei fieni da essiccatoio, che svolgono anche una importante azione equilibratrice delle cinetiche ruminali, come spiegato da Igino Andrighetto, che ha ripreso la questione legata alle perdite in campo non solo in termini di qualità, ma anche di quantità di prodotto.
Ha puntato l’indice su cantieri di lavoro troppo aggressivi, con troppe andanature e trattamenti meccanici sul foraggio. L’esigenza di avere un tempo più breve possibile di permanenza in campo, e quindi l’uso di macchinari sempre più veloci, comporta perdite di prodotto (soprattutto per le foglie lasciate a terra) importanti e non sempre – anzi, raramente – considerate.
L’inserimento dell’essiccatoio, consentendo solo una ridotta fase di pre-appassimento in campo, determina perciò un netto miglioramento per quantità e per qualità del fieno.
Anche in questo caso i numeri sono assai indicativi.
Il prof Andrighetto ha mostrato i risultati di varie prove di campo da cui è evidente come i vantaggi in termini economici per l’azienda che può disporre di fieno da essiccatoio rispetto a fieno ottenuto con essiccazione in campo siano inequivocabili, particolarmente vantaggiosi in razioni da Parmigiano Reggiano.
Una ulteriore dimostrazione di come l’uso di impianti di essiccazione offra importanti opportunità per la salvaguardia delle caratteristiche nutrizionali del fieno di medica e un sensibile aumento delle disponibilità per ettaro.
E questo – ha sottolineato – giustifica ampiamente il maggior costo di produzione del fieno di medica essiccato, ricordando ancora che la loro efficienza dipende soprattutto dal tipo di cantiere operante nella fase di raccolta.
Di fieno al convegno di Verona hanno parlato anche Riccardo Severi, direttore di Aife – Associazione italiana foraggi essiccati – che ha presentato tecniche e tecnologie degli aderenti alla sua Associazione, rafforzando il concetto di come il trattamento termico dei foraggi sia anche un passaggio chiave per avere più qualità e più quantità.
Altra relazione quella di Giampaolo Gaiarin, tecnologo del Consorzio Trentingrana, che ha illustrato la realtà zootecnica trentina spiegando quindi come si sia arrivati alla declinazione trentina del Grana Padano, per la quale si è scelta la modalità a solo fieno senza insilati e senza lisozima.
Di seguito le presentazioni del convegno. Si ringrazia Informatore Zootecnico per la concessione.