Anche se colpisce soprattutto gli ovini e non è particolarmente pericolosa per i bovini la Blue Tongue rappresenta comunque un problema allorché la diffusione del virus cresce e si diffonde. Questo, infatti, porta a provvedimenti restrittivi dell’autorità sanitaria, che interessano soprattutto la movimentazione degli animali, i quali complicano e ostacolano l’attività ordinaria delle stalle. Facciamo il punto con Giorgio Micagni, responsabile del Servizio veterinario dell’ATS di Reggio Emilia.
Dottor Micagni, facciamo un passo indietro. Di Blue Tongue il mondo della zootecnica e della sanità veterinaria se ne era già occupato ampiamente anni fa…
La questione è tornata alla ribalta e sta interessando un numero crescente di regioni. L’agente casuale della Blue Tongue è un virus, trasmesso da un moscerino ematofago (Culicoides), di cui esistono numerosi sierotipi. In passato si trattava dei sierotipi 1 e 4, divenuti ormai ubiquitari sul territorio nazionale. Ora, invece, è apparso sulla scena zootecnica il sierotipo 8, una “new entry” proveniente dalla Francia, che ha fatto la sua prima apparizione in Piemonte e Valle d’Aosta, per poi diffondersi anche in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana.
Non si tratta di un ceppo virale con una particolare patogenicità e i suoi effetti clinici si manifestano – come peraltro per gli altri sierotipi – essenzialmente negli ovini, in maniera importante, con problemi riproduttivi, aborti e calo della produzione. I bovini fungono essenzialmente da serbatoio per il virus, che nei soggetti infetti può resistere per un paio di mesi. Molto raramente si possono osservare anche nei bovini manifestazioni cliniche, essenzialmente aborti.
Quali sono le indicazioni per chi si trova in una zona di restrizione per la Blue Tongue?
Se per i bovini il virus della Blue Tongue non rappresenta un problema di cui preoccuparsi eccessivamente dal punto di vista clinico, c’è però una ricaduta importante in termini di complicazioni e rallentamenti nella gestione ordinaria dell’attività. Questo perché laddove si evidenzi con esami di laboratorio la presenza del sierotipo 8 del virus, per un raggio di 20 km viene creata una zona di protezione e contenimento.
Per ogni animale in uscita da questa zona verso allevamenti dove il sierotipo 8 non è presente (ad esempio ingrassi per i vitelli maschi, il caso più comune) sono previste misure obbligatorie, volte a rallentare la diffusione del virus: gli animali devono risultare negativi ad esami di laboratorio sul sangue e vanno trattati con un prodotto repellente per insetti nella fase di trasporto.
I capi positivi possono essere avviati al macello?
Certo, i capi positivi possono essere avviati al macello normalmente. I camion devono essere disinfettati e trattati con insetticida. Va fatta una pre-notifica al macello e ci sono grossi macelli che accettano come pre-notifica l’inserimento in banca dati del Mod. 4 elettronico. Questi soggetti devono essere macellati nelle 24 ore successive all’arrivo.
A livello di allevamento quali sono le misure di protezione che si possono adottare?
Trattandosi di una malattia trasmessa da un insetto vettore, praticamente ubiquitario, è estremamente difficile pensare a un contenimento completo della diffusione del virus. È utile, nel limite del possibile, la riduzione in stalla delle zone umide, dei ristagni idrici o di urine, quindi, è anche in questo caso raccomandabile la pulizia degli ambienti e la presenza di lettiere asciutte.
E il vaccino?
Attualmente non è possibile vaccinare. Il problema sta nella disponibilità del vaccino per il sierotipo 8. Ci sono scorte solo in Francia e in quantità minori in Sardegna. Solo con l’anno prossimo – per i tempi tecnici necessari all’industria farmaceutica per eventualmente metterlo a disposizione nelle quantità necessarie – potrebbe essere disponibile su larga scala. Quindi per ora e per i prossimi mesi non resta che il monitoraggio dei casi e la sorveglianza per aggiornare le zone di presenza del sierotipo 8. Il freddo invernale ha l’effetto di bloccare temporaneamente la diffusione del virus, ma molto dipende dalle temperature raggiunte. Questa è infatti una tipica infezione collegata al cambiamento climatico in atto, con temperature medie più alte, specie quelle invernali.
Anche i veterinari aziendali possono collaborare al monitoraggio?
Certamente, anzi: è un invito che faccio loro. Oltre al monitoraggio svolto d’ufficio dalle autorità veterinarie (per questo come per altri virus trasmessi da insetti), l’invito per allevatori e veterinari aziendali è quello di non sottovalutare alcun caso sospetto (a carico di pecore, magari qualche capo per l’autoconsumo presente in stalla, o per aborti di bovine), procedere a esami (gratuiti) e così contribuire a un aggiornamento costante della situazione.
Il che, oltre al dato sulla circolazione del virus, potrebbe contribuire – paradossalmente – a sollevare le aziende dagli oneri legati alla movimentazione degli animali in uscita dalle zone di restrizione…
Nel caso le rilevazioni del sierotipo 8 del virus aumentassero e sempre più aree fossero coinvolte le zona di restrizione finirebbero inevitabilmente con il fondersi tra loro, con aree sempre più ampie all’interno delle quali il movimento degli animali potrebbe avvenire senza problemi.