Micotossine, razione reale e mungitura: sono tre passaggi chiave affrontati in un recente convegno della Fiera Internazionale di Cremona (*) che ha rappresentato un momento di confronto tra esperti, con contributi fondati su dati aggiornati e ricerche applicate.
Il quadro che è emerso è quello di una filiera che richiede attenzione simultanea a molteplici fronti: dalla sicurezza delle materie prime alla precisione nei processi aziendali, dalla comprensione fisiologica delle esigenze animali alla formazione e motivazione del personale.
Il miglioramento della produttività della filiera non passa attraverso interventi isolati, ma attraverso una visione sistemica che integri innovazione tecnologica, ricerca scientifica, gestione operativa e valorizzazione del capitale umano. Solo attraverso questo approccio olistico è possibile affrontare le sfide contemporanee mantenendo la qualità, la sostenibilità e la competitività della filiera italiana.
Il problema micotossine
Flavio Melli (responsabile laboratorio Progeo), ha parlato della gestione delle micotossine nelle materie prime, questione critica nella formulazione dei mangimi per le vacche da latte.
L’approvvigionamento globale ha registrato trasformazioni significative negli ultimi decenni: le importazioni di mais in Italia sono passate dal 14% nel 2006 al 54% nel 2024, con conseguenze importanti per la qualità e la sicurezza dei prodotti. Il problema principale risiede nella contaminazione da micotossine che trovano ambienti favorevoli in condizioni climatiche sempre più critiche.
Il cambiamento climatico ha ampliato significativamente le aree geografiche interessate dalla contaminazione, estendendo zone tradizionalmente caratterizzate da aflatossine fino alla pianura padana e ai paesi dell’Europa dell’est.
La gestione del rischio legato alle micotossine non è puramente tecnica ma anche economica. I costi stimati per una singola azienda ammontano a circa tre milioni di euro annui, considerando la gestione, le analisi, le non conformità e i sovraccosti di acquisto. Una criticità rilevante è la distanza tra i limiti normativi: in Europa il valore per l’aflatossina M1 è 50 ppt, mentre negli Stati Uniti e in Cina arriva a 500 ppt.
Questa differenza ha implicazioni commerciali significative, specialmente per i prodotti DOP come il Parmigiano Reggiano, dove la qualità del latte è un elemento distintivo.
Stefano Dal Colle, medico veterinario Progeo, ha evidenziato come i danni causati dalle micotossine nei ruminanti siano sia acuti che cronici, manifestandosi con sintomi che vanno dal rifiuto dell’alimento a mastiti, zoppie, alterazioni epatiche e riduzione della produzione di latte rendendo anche difficile eseguire una diagnosi precisa causa una sintomatologia poco chiara e generica.
I monitoraggi evidenziano però la notevole capacità detossificante del rumine e la difficoltà nel definire soglie di tossicità delle micotossine univoche, più spesso sostituite da range e raccomandazioni in continua revisione.
In questo quadro è stata presentata una prova in un allevamento da 120 vacche in lattazione, con pastone di mais integrale contaminato da fumonisine (circa 40.000 ppb nel pastone e 3.000–5.000 ppb/kg SS in razione, a fronte di linee guida che indicano 2.000 ppb come soglia da non superare nelle bovine da latte). L’impiego di questo pastone non ha compromesso in modo evidente ruminazione, produzione, qualità del latte o attività ovarica, mentre l’uso di sequestranti ha contribuito a stabilizzare ulteriormente ruminazione e livello produttivo in condizioni di elevata contaminazione.
La razione teorica e la razione reale
Sul fronte della gestione nutrizionale, Simone Silvestrelli, (Formulazione e Ricerca & Sviluppo Progeo), ha mostrato la deviazione esistente tra la razione formulata e quella effettivamente distribuita, e le conseguenze sulla produzione di latte. Una ricerca dell’Università di Bologna, (condotta dal dott. Silvestrelli e il gruppo del prof. Formigoni) in aziende del Parmigiano Reggiano, ha mostrato sovradosaggi sistematici dei foraggi (+8% in media, con punte del 19%) e dei concentrati (fino al +10% in un’azienda), deviazioni non casuali che riflettono criticità operative strutturate.
Le conseguenze di queste deviazioni sono tutt’altro che marginali. Secondo le equazioni predittive del NASEM, un aumento della fibra proveniente dai foraggi determina una diminuzione dell’ingestione di sostanza secca e, di conseguenza, una riduzione della produzione di latte. Un sovradosaggio di proteine, come nel caso del sovraddosaggio dei concentrati, potrebbe aumentare il dispendio energetico dell’animale per l’escrezione dell’azoto in eccesso, energia che avrebbe potuto essere destinata alla lattazione. È evidente, quindi, che la precisione nella preparazione del unifeed non è un dettaglio tecnico ma un elemento strategico per l’efficienza aziendale e il margine operativo (IOFC).
I fattori che influenzano la preparazione della razione sono numerosi e complessi: l’utilizzo di software di gestione alimentare, la creazione di premix opportuni, l’ordine di carico degli ingredienti, i tempi di miscelazione con rischio over/under-mixing che vanno a ridurre eccessivamente le particelle di foraggio, abbassando la fibra fisicamente efficace o non garantendo uniformità permettendo la selezione della razione, e soprattutto la precisione di carico degli operatori. La formazione del personale assume un ruolo centrale: chi prepara l’unifeed deve essere consapevole dell’impatto del proprio lavoro e diventare un osservatore qualificato della qualità della miscelazione.
Lo snodo cruciale della mungitura
L’ultimo tema, trattato da Nicola Rota, (responsabile della qualità del latte per Agribovis), ha riguardato la qualità della mungitura con un occhio alla produzione di latte e sanità della mammella. Un aspetto frequentemente sottovalutato riguarda la fisiologia dell’ossitocina e le tempistiche di mungitura. Contrariamente a quanto tramandato dalla tradizione, che suggeriva 60 secondi di preparazione, le esigenze delle vacche ad alta produzione contemporanea richiedono 90-120 secondi affinché l’ossitocina, rilasciata dall’ipotalamo, raggiunga la mammella attraverso il flusso sanguigno e garantisca una corretta fuoriuscita del latte. La mammella, strutturata in quattro ghiandole distinte, richiede una comprensione approfondita dei parametri di mungitura: i quattro flussi di latte (0-15, 15-30, 30-60, 60-120 secondi) devono tutti essere in salita progressiva, con il flusso iniziale prossimo a 1 kg/minuto e quello finale superiore a 3,6 kg/minuto. La velocità di mungitura nei primi due minuti dovrebbe attestarsi attorno a 8 kg con due mungiture giornaliere e 7 kg con tre, mentre il tempo in basso flusso (<1 kg/minuto) andrebbe contenuto sotto il minuto complessivo per limitare lo stress sul capezzolo.
Le ricerche presentate indicano che circa il 50% delle problematiche mammarie ha origine gestionale più che imputabile all’animale o all’impianto, riportando al centro formazione, comunicazione e consapevolezza dell’operatore. L’analisi di indicatori come numero di attacchi e riattacchi manuali o durata della mungitura consente di individuare sovramungiture croniche: in un caso, la loro riduzione ha determinato un netto incremento del latte munto nei primi due minuti, perché gli animali erano stati sottoposti a sovramungitura cronica e non necessaria.
Simone Silvestrelli – R&D Progeo
(*) From Feed to Milk: opportunità per migliorare le performance produttive” – Cremona 28 novembre 2025

