I veterinari del Servizio di Produzione Primaria del Consorzio hanno intervistato 25 allevatori che praticano regolarmente il pascolo per i propri animali, al fine di raccoglierne esperienze e punti di vista. Lo scopo era capire come e perché effettuino tale pratica, se abbiano riscontrato dei vantaggi o degli svantaggi e da chi abbiano appreso informazioni per attuarla.
Cosa intendiamo qui con il termine “pascolo”? Intendiamo di un’area di su cui gli animali si possano muovere e in cui possono brucare, ma l’alimento principale viene somministrato in tutti i casi dall’allevatore.
Dalle interviste è emerso che i gruppi delle manze e delle vacche in asciutta sono quelli che più frequentemente hanno accesso al pascolo; tuttavia in 10 degli allevamenti visitati anche alle bovine in lattazione è permessa tale pratica.
Richiesti di quanto tempo all’anno sia possibile agli animali accedere al pascolo, quasi tutti si sono trovati d’accordo nel dire che mandano gli animali all’esterno dal periodo primaverile all’autunnale, con una media di 7/8 mesi all’anno, in base alle condizioni climatiche; in due casi il pascolo è praticato per tutto l’anno.
In 7 stalle su 25 viene fatta la rotazione del pascolo: un allevatore ha riferito che ogni 12 ore sposta il filo elettrico, che recinta l’area, in modo tale che gli animali non pascolino per più di 3 giorni sullo stesso terreno. Altri due allevatori hanno deciso di lasciare sempre un’area aperta e di destinare un’altra area in un secondo momento. Nella maggior parte delle aziende i pascoli sono recintati con filo elettrico: a questo proposito, gli allevatori riferiscono che ci sono bandi regionali per reti anti-lupo, ma spesso è difficile accedere ai fondi.
Riguardo alla preparazione e cura del terreno, nella metà dei casi l’allevatore ha riferito di non fare nulla e di lasciare prato stabile, poiché molto spesso l’area è in una posizione poco praticabile e, quindi, difficile da lavorare. Negli altri casi, il terreno viene nutrito con letame/liquame, arieggiato 1-2 volte all’anno e seminato con loietto o altre graminacee.
Quali vantaggi hanno riscontrato gli allevatori?
Innanzitutto, il miglioramento del benessere animale, dovuto all’aumento della socializzazione e alla diminuzione dello stress, della competizione tra animali e dello stress da caldo. Alcuni hanno riferito anche una maggiore longevità degli animali, altri una migliore pulizia delle mammelle; in un caso l’allevatore ha dichiarato un miglioramento del BCS, in quanto gli animali restano più in movimento. Notevoli sono stati i miglioramenti sul piede, con diminuzione delle zoppie e delle dermatiti. Tra gli altri vantaggi annoverati ci sono: la facilità nella gestione degli animali, lo sgravio dei costi alimentari, la maggior robustezza degli animali e la facilità nell’ingravidarli, perché spesso si ricorre alla monta naturale. Un allevatore ha vantato effetti positivi sul latte per colore e aromi.
Quando è stato chiesto agli allevatori se avessero riscontrato dei problemi al pascolo (ad esempio danni da predazione, parassiti, malattie infettive, contatto con altre specie, intossicazioni, ecc.) sei di essi non hanno avuto nessuna delle criticità elencate. Negli altri casi, l’evento più frequente è stata la fuga degli animali. In un solo caso è avvenuta una predazione, mentre un altro ha avuto maggiori problemi al parto. Un allevatore ha lamentato problemi con mosche e tafani, mentre in un caso una manza si è infortunata al pascolo.
Per quanto riguarda le produzioni, tre allevatori hanno dichiarato di aver notato un calo delle produzioni per minor ingestione di sostanza secca. È stato notato che i calori nelle manze si notano meno perché gli animali sono meno sotto controllo.
Un allevatore ha osservato: “Le bovine producono meno e i titoli del latte peggiorano. Un rischio da non sottovalutare è il meteorismo da medica. Bisogna anche abituare gli animali ad andare al pascolo. Riguardo alla mastite, se si riscontra … ha un effetto amplificato”.
In tre casi è stato riscontrato un peggioramento delle performance riproduttive delle manze per un ritardo nell’inseminazione. “Le manze crescono meno velocemente, ma più robuste”, ha dichiarato un allevatore.
In quasi tutte le aziende gli animali hanno accesso continuo alla stalla, all’interno della quale possono alimentarsi e bere, benché in molti casi venga messo a disposizione del fieno e punti d’abbeverata all’esterno.
Un consiglio utile di un allevatore è stato quello di mettere delle rastrelliere per la cattura degli animali, nel caso in cui le bovine non abbiano accesso alla stalla.
Alla domanda se avessero ricevuto dei contributi regionali o statali che li avessero incentivati a fare pascolo, la risposta univoca è stata no. Solo un allevatore ha sentito dire che in futuro potrebbe esserci un contributo, visto che nel biologico esiste già.
Dunque, perché il pascolo?
La risposta più semplice, e forse la più banale, è stata: “Perché si è sempre fatto così!”.
Nella sua semplicità, tale risposta racchiude un aspetto fondamentale di come oggi si sta evolvendo la realtà allevatoriale: permettere all’animale di accedere ad un’area esterna può rappresentare quel filo conduttore tra passato, presente e futuro; una vecchia pratica, che trova conferma nelle esigenze, sempre più pressanti, di un consumatore moderno attento, non solo alla qualità del prodotto, ma anche all’eticità dello stesso. Gli allevatori nutrono forte interesse nella valorizzazione del prodotto e nel ritorno d’immagine che il pascolo può offrire; se molti di loro praticano il pascolo ispirati da “saperi antichi” o prendendo spunto da realtà straniere, altri pensano che, in questo modo, si riesca a sfruttare terreni non coltivabili. In fin dei conti, il motore principale che spinge il tutto è il benessere animale, perché, il fine ultimo è che “l’animale stia bene”.
Rossella Ciarlo
Servizio Produzione Primaria