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Spiegato facile: il Life Cycle Assessment (LCA)

Alla domanda su quali siano i componenti più importanti del latte tutti saprebbero rispondere, e ci mancherebbe altro: acqua, proteine, grasso, lattosio, sali minerali. Qualcuno più erudito potrebbe andare oltre nel dettaglio, sulle frazioni proteiche o sulla composizione degli acidi grassi. Poi ci sono parametri igienici e sanitari, come cellule somatiche e carica batterica, che sono il pane quotidiano di ogni controllo e valutazione.

Giusto?

Giusto, però incompleto.

Manca ancora qualcosa, che per il consumatore, per chi lo rappresenta e, di conseguenza, per chi vende (Grande Distribuzione in primis) sta diventando sempre più importante: la valutazione dell’impatto sull’ambiente che la produzione di una data unità di prodotto, quindi anche di un litro di latte, comporta.

Traduzione: tutte le emissioni di anidride carbonica, il consumo di acqua, l’uso del suolo, e poi l’acidificazione, l’eutrofizzazione, la biodiversità che sono state coinvolte nel processo produttivo.

Attenzione, la questione non riguarda solo in azienda: perché la soia che arriva dal Sudamerica, per fare un esempio, si porta in stalla un suo bagaglio di impatto ambientale legato alla sua produzione e al suo trasporto, magari anche alla deforestazione, che si somma a tutto il resto.

Dare il giusto peso a tutte queste voci per arrivare a un numeretto ambientale al nostro litro di latte non è facile, e infatti il lavoro per uniformare calcoli e pesi ambientali è stato continuo.

Per non farla troppo lunga, basta sapere che tutto quanto detto finora si può sintetizzare in una sigla: LCA. Ossia Life Cycle AssessmentAnalisi del ciclo di vita di un prodotto.

Ed è un po’ come per il grasso, le proteine, le cellule somatiche, la carica batterica: un numero che varia da azienda ad azienda in base al ciclo produttivo, alla efficienza di gestione, al maggiore o minore ricorso al mercato esterno per l’acquisto di materie prime, al sistema di gestione delle deiezioni e altro ancora.

Più basso è questo numero, più virtuosa è l’azienda e più appetibile dal mercato sarà la sua produzione.

Ancora di più se parliamo di filiere produttive, ad esempio per formaggi DOP di grande prestigio, come il Parmigiano Reggiano, la cui eccellenza deve essere dimostrata al consumatore anche per quanto riguarda l’LCA.

Quindi, per tornare alla questione di partenza: chi oggi si sognerebbe di non badare al contenuto di cellule somatiche del latte? o al contenuto di proteine o di grasso?

Ovviamente nessuno, perché nessuno ritirerebbe un latte che non soddisfi un livello minimo per questi parametri.

Ebbene, tra non molto questo potrebbe riguardare anche l’LCA. Meglio prepararsi per tempo.