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Una rivoluzione in vista nel modo di svezzare le vitelle?

Nel 1942 McCay e Savage, della Cornell University (USA), pubblicarono sul Journal of Dairy Science (25:595-650) un corposo e argomentato lavoro intitolato “The nutrition of calves: una review”, destinato a diventare il nuovo paradigma dello svezzamento delle vitelle destinate a diventare bovine in lattazione essenzialmente della razza frisona.
In estrema sintesi, il nuovo paradigma consisteva nel ridurre al 10% del peso corpo- reo alla nascita la quantità di latte da somministrare alle vitelle, per incoraggiare l’ingestione dei concentrati in modo da arrivare a svezzare a 7-8 settimane.
Questa nuova tecnica nutrizionale ebbe una “diffusione virale” in tutto il mondo, associandosi via via a nuove tecniche di gestione, come l’allontanamento alla nascita della vitella dalla madre, e quindi la somministrazione manuale del colostro, e il ricovero in gabbie singole fino allo svezzamento per evitare la diffusione delle malattie infettive e parassitarie.
A testimonianza di tutto ciò, i dati contenuti nel recente Dairy 2014 del NAHMS che “fotografano” puntualmente ciò che avviene nel 76.7% degli allevamenti e nell’80.3% delle bovine allevate negli USA. Da questo report si evidenzia che negli Stati Uniti le vitelle Holstein si svezzano mediamente a 63 giorni, anche se il 18% degli allevamenti lo fa a 49 giorni. In pratica, il 50.2% degli allevamenti segue il “calendario”, il 21% segue il raggiungimento del peso stabilito e il 21.5% quando il consumo di concentrato (starter) è di circa kg 1 di mangime per almeno tre giorni consecutivi. La scelta del latte da utilizzare è piuttosto diversificata. Il 49.9% degli allevamenti utilizza solo succedanei del latte, di cui il 40.4% medicato (principalmente con tetracicline, neomicina, decoquinato e lasalocid), il 55.7% usa latte materno non pastorizzato, il 7.4% usa invece quello pastorizzato e il 14.4% utilizza indifferentemente succedanei e latte materno.

Chi utilizza succedanei del latte nel 58.7% dei casi li sceglie al 20% di proteina, nel 30.5% tra il 21 e il 24% di proteina e il 10.3% li sceglie con una concentrazione proteica > 25%. L’81.7% degli allevatori utilizza latte al 20% di grasso. Il 94.6% degli allevamenti somministra il latte 2 volte al giorno, l’1.5% lo dà a volontà e lo 0.8% usa un mono pasto. In ogni caso l’88.9% delle vitelle riceve il latte 2 volte al giorno, il 6.8% 3 volte, il 2.8% a volontà e lo 0.3 una volta al giorno. Il 77.2% lo somministra tramite bottiglie e il 72.3% con secchi. L’acqua viene messa a disposizione al 17° giorno, il concentrato dall’11° e i foraggi dal 36° giorno. Non abbiamo informazioni esatte su ciò che avviene in Italia ma è ragionevole pensare che non si discosti molto da quanto avviene negli Stati Uniti.
I paradigmi non sono verità eterne perché la ricerca continua il suo incessante lavoro e il contesto nel quale si allevano gli animali e la genetica evolvono molto rapidamente. L’evoluzione delle conoscenze sulle migliori tecniche d’allevamento da adottare convergono sul fatto che tanto più esse si avvicinano alla fisiologia e all’etologia degli animali tanto più saranno efficaci. Inoltre, una quota sempre crescente della gente desidera che gli animali da reddito facciano “una vita più simile possibile a quella che avrebbero fatto in natura” e la vitellaia ha molti aspetti che disturbano la sensibilità etica dei consumatori. Si è però notato con l’esperienza di questi ultimi anni come un miglior rispetto dell’etologia e della fisiologia della bovina da latte porti ad un miglioramento delle sue performance. E’ un po’ come se “il metodo Montessori” fosse il toccasana per il benessere degli animali e, conseguentemente, per quello degli allevatori. Pertanto, il paradigma di McGay e Savage, dopo ben 75 anni, dovrà essere sostituito da uno più nuovo e aggiornato.

Per capire se si può gestire diversamente la vitellaia è bene approfondire alcuni aspetti comportamentali del vitello e la sua relazione con la madre.
Relativamente alla razza Frisona, in condizioni di allattamento naturale, durante la prima settimana di vita la vitella ingerisce kg 6 di latte al giorno in 8-12 pasti giornalieri di circa 10 minuti. Alla nona settimana il latte ingerito raggiunge i kg 12 al giorno. Già dal primo mese il numero delle sessioni giornaliere d’allattamento si riduce a 4. I vitelli delle bovine al pascolo iniziano a pascolare e ruminare a 3 settimane di vita ed al 4°-6° mese hanno un comportamento alimentare simile agli adulti.

Le attuali tecniche di gestione, per raggiungere l’obiettivo di uno svezzamento entro i 60 giorni di vita, prevedono la somministrazione di una ridotta quantità di latte, sia materno che artificiale, che è in genere di kg 4-5 al giorno, per incoraggiare una precoce assunzione di concentrati. Si tratta in pratica di circa kg 0.5 di polvere di latte, in genere al 20-22% di proteina e al 15-20% di grasso. Dai molti studi recentemente pubblicati si evince che questo razionamento del latte determina nei vitelli una cronica sensazione di fame, un alto rischio di patologie, alterazioni comportamentali e scarso welfare. Se il latte venisse somministrato ad libitum le vitelle ne berrebbero una quantità pari al 20% del loro peso corporeo, cosa che allungherebbe però di molto la data di svezzamento. Con il latte a volontà infatti l’animale non avrebbe interesse a mangiare il concentrato e lo sviluppo del rumine avverrebbe quindi più tardivamente.

Una maggiore quantità di latte somministrata ai vitelli prima dello svezzamento garantisce un maggior accrescimento medio giornaliero che ha come effetti misurabili un accorciamento dell’età alla prima fecondazione e una maggior produzione in prima lattazione. Ogni 100 gr di accrescimento medio giornaliero in più prima dello svezzamento corrispondono ad un aumento della produzione in prima lattazione di kg 107 di latte. Quello che avviene nel parenchima mammario delle vitelle alimentate con una maggior quantità di latte è un aumento del DNA mammario, ossia di cellule epiteliali secernenti. Tale incremento può raggiungere anche il 40%. Medesimo effetto si ha quando si utilizza solo latte materno, oppure succedanei del latte, con una concentrazione proteica > 25%.

Conclusioni

Il paradigma di McGay del 1942 ha forse terminato il suo tempo. Accelerare l’età dello svezzamento limitando la quantità di latte somministrato alle vitelle ha molti effetti collaterali negativi e il solo beneficio di ridurre la quantità di latte da somministrare nella lunga vita produttiva delle bovine è economicamente ininfluente. La zootecnia ha ormai condiviso l’idea per cui tanto più le condizioni di allevamento e di gestione si avvicinano a quello che avverrebbe in natura migliori saranno i risultati tecnici ed economici ottenuti. La storia della zootecnia è piena di “forzature” o soluzioni estreme ma nessuna di esse è resistita nel tempo. In termini scientifici si chiamano “distorsioni o bias” che spesso in realtà non sono casuali ma condizionate da motivazioni commerciali, ossia creare curiosità con nuovi argomenti di vendita e nuovi prodotti.

Alessandro Fantini

Dairy Production Medicine Specialist

Fantini Professional Advice srl

info@fantiniprofessionaladvice.com