La mastite rappresenta la patologia più frequente nell’allevamento da latte, con un’incidenza che varia dal 20 al 70% e rappresenta ancor oggi la principale causa di riforma delle bovine da latte (33% circa, cioè un capo su tre viene riformato per problemi legati alla sanità della mammella).
Tutto questo nonostante oggi si siano compiuti notevoli passi in avanti nella tecnologia degli impianti di mungitura, nella progettazione e costruzione dei locali di mungitura, dei ricoveri e dei luoghi di stabulazione, nella sempre più continua e convinta ricerca del benessere animale.
Oggi sono disponibili innovazioni tecnologiche, ma soprattutto nel campo della terapia e della diagnostica, arrivata oggi a livelli “on farm” quando fino a qualche anno indietro si ritenevano di esclusiva competenza dei laboratori specializzati.
Se da un lato la terapia antimicrobica ha rappresentato un valido ed efficace strumento nel trattamento delle mastiti, quando non utilizzata correttamente ha concorso a determinare una antimicrobico resistenza, sempre più considerata uno dei maggiori focus a livello mondiale nell’ambito delle strategie orientate dall’approccio “One Helath” cioè “Salute Globale”. Identificare le specie di batteri responsabili di un’infezione da mastite può essere utile per determinare le opzioni di trattamento e ridurre l’uso non necessario di antibiotici.
La batteriologia in stalla può anche aiuta- re un allevatore a decidere di non trattare una bovina: i risultati di uno studio hanno rilevato che dal 10 al 40% delle colture batteriche da campioni di mastite clinica non hanno mostrato crescita dopo la coltura. Le colture che non mostrano crescita batterica di solito non richiedono alcun trattamento perché il sistema immunitario ha già eliminato l’infezione batterica.
Tradizionalmente, i campioni di latte da mastiti cliniche vengono inviati ai laboratori locali per le analisi batteriologiche. Un aspetto negativo delle analisi fatte in laboratorio è che il tempo che intercorre dal prelievo di latte all’arrivo dei risultati può essere di diversi giorni. Questo lasso di tempo non permette di attuare una terapia tempestiva del singolo caso sulla base della diagnosi ma solo di avere un dato epidemiologico per impostare una terapia generalizzata per il trattamento di tutti i casi di mastite.
L’attuazione di un programma di batteriologia in azienda può aiutare a prendere decisioni terapeutiche proattive in modo tempestivo: identificare le vacche senza crescita batterica dove un trattamento antibiotico non è necessario perché queste bovine hanno auto-curato l’infezione batterica; identificare i patogeni Gram-negativi che sono spesso autolimitanti o non rispondono al trattamento, o i patogeni Gram-positivi che generalmente rispondono in modo più efficace al trattamento antibiotico.
Per prendere una decisione sul trattamento, è necessario esaminare l’anamnesi della salute della mammella della vacca e organizzare un consulto con il veterinario per attuare un protocollo di trattamento. Proprio in quest’ottica, utilizzare in maniera razionale e prudente l’antibiotico e fornire strumenti semplici che aiutino nella diagnosi di mastite, vengono oggi proposte soluzioni che permettono di effettuare valutazioni batteriologiche in stalla (on farm culture, OFC) utili per una gestione più efficace e sostenibile dei problemi legati alla sanità della mammella.
Un’esperienza concreta
In un allevamento del Nord Italia con circa 600 capi in lattazione, quando una mastite clinica veniva evidenziata in sala di mungitura durante lo stripping dei primi getti, il latte dei quarti affetti da una mastite clinica di grado 1 (lieve) e di grado 2 (moderata) era raccolto sterilmente e immediatamente refrigerato a 4°C in un locale apposito adiacente la sala di mungitura. I casi di mastite clinica di grado 3 (grave) non sono stati inclusi nel protocollo di batteriologia, ma trattati immediatamente secondo le indicazioni del veterinario.
Successivamente, e mai oltre le 6 ore dopo il prelievo, il veterinario aziendale seminava i campioni sui terreni OFC che venivano incubati a 37°C e ne effettuava la lettura a distanza di 24 ore.
Il sistema di OFC utilizzato (vedi foto) consiste in un sistema lineare a tre terreni per l’isolamento batterico e l’identificazione presuntiva di batteri responsabili di mastite bovina. È un sistema integrato che consente di effettuare contemporaneamente un perfetto isolamento delle colonie e una prima identificazione presuntiva del campione su un unico supporto e con una manualità estremamente contenuta.
Dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2019 tutti i casi di mastite clinica di score 1 e 2 sono stati analizzati con il sistema OFC e in base all’esito delle colture veniva adottato il protocollo terapeutico più appropriato, che comprendeva ovviamente anche la possibilità di non trattare il caso clinico con la terapia antibiotica.
Anche in base all’esperienza descritta si possono trarre alcune conclusioni
L’utilizzo del sistema OFC, anche alla luce delle recenti direttive Ue sulle misure di contrasto all’antimicrobico resistenza e l’uso prudente dell’antibiotico, è un metodo affidabile nella gestione delle problematiche connesse alla sanità della mammella in quanto permette una diagnosi rapida e una corretta identificazione degli animali da trattare, una ottimizzazione del protocollo terapeutico e una riduzione dell’utilizzo di antibiotico senza impattare sui tassi di guarigione e sulla sanità della mammella.
Tutto ciò si traduce anche in un notevole valore economico per l’allevatore per la minore quantità di latte scartato e il ritorno anticipato in caldaia dei capi positivi.
Pietro Di Sandro
Area Technical Manager Ruminants Zoetis Italia