Il Parmigiano Reggiano è un prodotto a Dop, dove la O sta per “Origine”. Ma qual è l’origine del Parmigiano Reggiano? Il primo “ingrediente” del re dei formaggi non è il latte, non sono le bovine, ma ciò che esse mangiano.
Direttamente dal Disciplinare di produzione si evince come per i produttori di Parmigiano Reggiano il legame con il territorio sia uno dei beni più preziosi, e l’intento dichiarato è quello di impegnarsi sempre di più per preservarne il collegamento (che sta alla base delle DOP e delle IGP) con il prodotto.
Questo lo si capisce bene quando si parla di alimentazione delle bovine per la produzione di Parmigiano Reggiano. Infatti, queste bovine devono essere alimentate con almeno il 50% della loro dieta (in termini di sostanza secca) costituita da foraggi. I foraggi, inoltre, devono provenire per un minimo del 75% del totale dal comprensorio.
Queste sono le prescrizioni del Disciplinare, che essendo rigidamente prescrittive (nel senso che il loro mancato rispetto comporta la perdita della Dop) sono state definite considerando la possibilità che vi possano essere anni in cui -principalmente a motivo di particolari andamenti climatici – vi possa essere “penuria” di foraggio del territorio, dove “penuria” significa appunto il 75% del fabbisogno. La realtà concreta è però quella che vede il foraggio proveniente dal territorio aggirarsi tra il 93 e il 95%, con la maggior parte delle aziende completamente autosufficienti a livello aziendale.
La domanda spontanea, a questo punto, è: “…e il restante 50% della dieta delle vacche da dove proviene?”. Il disciplinare di Produzione afferma che tale quota può essere costituita da mangimi.
Un po’ di storia…
Come già detto le regole di alimentazione delle bovine che producono latte per il Parmigiano Reggiano sono sempre state fondamentali per garantire la qualità e la tipicità di questo formaggio. Sin dal 1973 si affermava che il Parmigiano Reggiano si produce a partire dall’uso di foraggi locali ed è esplicitamente vietato l’uso di alimenti fermentati, insilati e di numerose materie prime che a diverso titolo possono influenzare negativamente le caratteristiche compositive e sensoriali del formaggio. Nel 1989 si riconobbe l’essenzialità dell’impiego di foraggi e si pose un limite all’impiego dei mangimi: tali norme possono essere considerate ancora valide nella logica di preservare la tipicità, la salute delle bovine e mantenere il legame con il territorio. Sempre in quel documento si affermò la necessità di vietare la grassatura delle razioni per non alterare la funzionalità del microbiota ruminale ed evitare di modificare le caratteristiche della frazione lipidica del formaggio.
1993: viene istituito l’Albo dei Mangimisti
A rigore di queste logiche, nel 1993, venne istituito l’Albo dei Mangimisti – basato su un accordo volontario tra Consorzio del Parmigiano Reggiano e Industrie Mangimistiche – che si pone l’obiettivo di salvaguardare la qualità e la salubrità del formaggio attraverso il coinvolgimento di più tratti della filiera; la convenzione che lo regola prevede, oltre alla conoscenza e il rispetto del regolamento nella formulazione, l’obbligo di riportare nei cartellini le materie prime incluse nella formulazione in ordine decrescente. Altri impegni che il mangimificio assume aderendo all’albo sono, ad esempio, quelli di mantenere le aflatossine nei mangimi ad un livello inferiore del 40% rispetto ai limiti di legge.
Per l’epoca, quando le normative sulla produzione dei mangimi erano molto meno esigenti e le certificazioni di qualità erano di là da venire, questa iniziativa rappresentava un’idea davvero innovativa, ed in pochi anni gran parte delle principali aziende mangimistiche operanti nel comparto aderirono all’Albo, che nel 2013 assunse la sua denominazione definitiva: Albo dei Fornitori di Foraggi e Mangimi e passò da una logica di controllo del prodotto ad una logica di controllo del processo: infatti, aderendo all’Albo dei Fornitori di Foraggi e Mangimi il mangimificio si impegna a conoscere e rispettare, per la produzione di mangimi destinati a stalle che producono latte per Parmigiano Reggiano, il Disciplinare di produzione e a sottoporsi a controlli da parte del Consorzio, controlli articolati in audit presso gli stabilimenti di produzione oltre che a verifiche sulle formulazioni proposte in cui vengono valutate le procedure operative utilizzate, molto importante in quanto sono calibrate in maniera estremamente severa per evitare rischi di contaminazioni accidentali di materie prime non ammesse dal disciplinare di produzione.
Verifiche anche da parte del Consorzio
Su queste procedure il mangimificio si rende disponibile anche a verifiche da parte del Consorzio in qualunque momento. Il controllo arriva a verificare un altro aspetto molto importante della produzione: le ricette di ogni mangime, sicuramente un dato sensibile che fa parte del patrimonio di ogni azienda. Come si capisce dalle numerose citazioni, c’è un impegno alla trasparenza importante e condiviso tra Consorzio e aziende mangimistiche.
Gli audit prevedono spesso un passaggio preventivo nelle stalle, con prelievi di campioni di mangime, verifica della composizione e della rispondenza ai dettami del Disciplinare (in particolare non devono essere presenti prime vietate, non devono essere stati aggiunti grassi, la composizione deve compatibile con quanto dichiarato nel cartellino, non deve essere presente azoto ammoniacale e ureico…).
Non solo controllo ma anche miglioramento
L’impronta che il Consorzio vuol dare a questa iniziativa non è mirata solo al controllo, ma anche al miglioramento e ciò ha creato negli anni un meccanismo di collaborazione attiva tra Consorzio e mangimifici dell’Albo che ha permesso per molti una crescita e un miglioramento reale nelle procedure di produzione, nei protocolli di autocontrollo e di verifica interna di questi, a ulteriore garanzia del prodotto finale. Va detto che negli anni il livello della gestione di qualità e sicurezza nei mangimifici è enormemente cresciuto rispetto a qualche decennio fa – quando nacque l’Albo – e ciò sia per l’evoluzione della normativa che per il senso di responsabilità e l’imprenditorialità dei mangimifici.
Un importante tassello della mission del Consorzio
Insomma, l’Albo dei Mangimisti per il Parmigiano Reggiano ha rappresentato e rappresenta un importante tassello della mission del Consorzio che è quella di dimostrare trasparenza e compattezza nella filiera. È la logica che va condivisa da tutti coloro che lavorano per fare un prodotto che gode di una reputazione internazionale di altissimo livello. Questa reputazione va protetta con cura garantendo pratiche produttive percepite dal consumatore come appropriate e rispondenti alle attese che ha nei confronti del Parmigiano Reggiano.
Di Gaetano Cappelli
Servizio di Produzione Primaria Consorzio del Parmigiano Reggiano