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La questione dell’ammoniaca nell’allevamento da latte

Al contrario del metano, l’ammoniaca non è un gas ad effetto serra, ma è particolarmente rilevante per il settore zootecnico e può avere importanti effetti negativi sull’ambiente, soprattutto per l’inquinamento dell’aria ma anche dell’acqua e del suolo.

Negli ultimi anni, la zootecnia è stata indicata come una delle attività umane più inquinanti e questo ha avuto una serie di effetti sul mercato dei prodotti di origine animale e sui sistemi di produzione. In particolare, sono le emissioni di gas ad essere al centro della discussione. Al contrario del metano, l’ammoniaca non è un gas ad effetto serra, ma è particolarmente rilevante per il settore zootecnico e può avere importanti effetti negativi sull’ambiente, soprattutto per l’inquinamento dell’aria ma anche dell’acqua e del suolo. L’ammoniaca è un gas incolore dall’odore pungente molto forte, irritante e tossico già a concentrazioni modeste. Oltre ai problemi localizzati di tossicità per animali e uomo, l’ammoniaca (formula chimica NH3) contiene azoto ed è molto solubile in acqua, per cui il suo rilascio in atmosfera è assimilabile ad una perdita di nutrienti nell’ambiente che può causare eutrofizzazione (ed acidificazione) del suolo e delle acque superficiali e riduzione della biodiversità.

In atmosfera, l’ammoniaca reagisce con numerosi elementi e partecipa alla formazione di particolato atmosferico, specie quello con diametro aerodinamico minore di 2.5 µm. Ad esempio l’ammoniaca reagisce con l’acido nitrico e con l’acido solforico portando alla formazione, rispettivamente, di nitrato d’ammonio e solfato d’ammonio, i due sali inorganici maggiormente presenti nel particolato. Come noto, il particolato atmosferico rappresenta un problema serio per la salute umana. Nel 2019, l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato che nell’area della Pianura Padana le morti premature attribuibili all’inquinamento da PM2.5 sono state tra le 100 e le 150 per 100.000 abitanti, uno dei dati peggiori d’Europa.

Ovviamente, la scarsa qualità dell’aria in Pianura Padana non è imputabile solamente alla zootecnia. Tuttavia, la riduzione delle emissioni di ammoniaca da attività agricole e allevamenti è considerata una delle strategie più importanti per limitare l’inquinamento atmosferico in questa area geografica. Secondo stime recenti prodotte dalle regioni Lombardia ed Emilia Romagna, all’agricoltura e alla zootecnia sono attribuiti il 96% ed il 98% delle emissioni di ammoniaca sul totale annuo. Seppure l’attuale normativa non preveda limiti specifici per questo inquinante, esistono linee guida e direttive volte a limitare le emissioni in futuro. La Direttiva NEC (2016/2284) introduce obiettivi di riduzione delle emissioni di ammoniaca pari al 5% per ogni anno dal 2020 al 2029 (come stabilito dall’aggiornamento del Protocollo di Göteborg del 2012) e del 16% a partire dal 2030, rispetto alle emissioni del 2005.

Ridurre le emissioni di ammoniaca già dentro la stalla

Tralasciando le emissioni di NH3 derivate dall’utilizzo di fertilizzanti chimici in agricoltura (soprattutto urea), una quota molto ampia delle emissioni di questo gas nel comparto zootecnico si origina dagli effluenti di allevamento. Le caratteristiche degli effluenti (in particolare temperatura, pH, contenuto di azoto, e umidità), così come la loro gestione (pavimentazioni, sistemi di asportazione, sistemi di trattamento e stoccaggio, sistemi di utilizzazione agronomica) possono incidere profondamente sull’emissione di NH3. Alcune delle cosiddette “buone pratiche” per la riduzione delle emissioni ammoniacali come la copertura delle vasche di stoccaggio e l’interramento dei liquami sono già ampiamente note (e in parte normate e/o sovvenzionate). Oltre che sulle fasi di stoccaggio e utilizzazione agronomica degli effluenti, ricerche recenti si sono focalizzate sulla riduzione delle emissioni di NH3 durante la fase di stabulazione o, in altri termini, all’interno della stalla.

Per meglio comprendere questi temi è utile introdurre brevemente i meccanismi che portano alla formazione (e volatilizzazione) di NH3 in allevamento. Il meccanismo primario di formazione dell’ammoniaca è l’idrolisi dell’urea (urinaria) catalizzata dall’enzima urease (prodotto da batteri, funghi, piante, ed alcuni invertebrati). I ruminanti, come tutti i mammiferi, convertono l’eccesso di azoto metabolico in urea che viene poi escreta, principalmente attraverso l’urina. L’urina è quindi la fonte principale di urea (la base per la formazione dell’ammoniaca) ma contiene una scarsissima popolazione batterica responsabile della produzione dell’enzima urease. Nelle feci, invece, si ritrovano quantitativi molto modesti di azoto nella forma ureica ma una popolazione batterica importante (e quindi elevate quantità di enzima urease). Nel contesto di un allevamento di bovini, la produzione di ammoniaca avviene quando l’urina (ricca di urea) entra in contatto con le feci (ricche di urease).

Evitare il contatto tra urine e feci può quindi rappresentare un metodo molto efficace per limitare la produzione (e quindi la volatilizzazione) dell’ammoniaca. Sebbene il processo di idrolisi dell’urea e le possibili implicazioni per la gestione degli effluenti di allevamento fossero già largamente conosciuti, l’effettiva riduzione delle emissioni ammoniacali ottenibile con la separazione feci/urine (da non confondere con la separazione solido-liquido dei liquami) rimane da determinare. Uno studio molto recente svolto in laboratorio all’Università di Firenze ha comparato le emissioni di NH3 da diverse tipologie di escrezioni di bovine da latte in lattazione: urina (prelevata prima di ogni contaminazione ambientale), feci e un mix di urine e feci. I risultati (ancora preliminari) hanno evidenziato che l’urina e le feci mantenute separate hanno emissioni di NH3 fino a 100 volte inferiori rispetto al mix di urine e feci (il materiale che si trova normalmente in allevamento).

Bisogna però sottolineare che, nel caso particolare dell’urina, tale riduzione estremamente significativa rimane contenuta temporalmente entro le prime 72 ore dall’esposizione. A tempi di esposizione più lunghi (oltre le 72 h), anche nell’urina prelavata direttamente all’atto della minzione (senza nessuna contaminazione fecale) riprende un’attività di idrolisi dell’urea e la conseguente emissione ammoniacale probabilmente dovuta alla contaminazione di batteri e/o urease presenti nell’ambiente. Sulla base di questi risultati, mantenere urine e feci separati può limitare sensibilmente la produzione e l’emissione di NH3 solamente nel breve periodo, in sostanza ritardando di 2-3 giorni l’attività di idrolisi dell’urea. Questo effetto, seppure limitato nel tempo, ha comunque una rilevanza nella pratica zootecnica perché nella maggior parte dei sistemi di allevamento delle vacche da latte (in particolare nelle stalle su cuccette) gli effluenti sono rimossi dagli ambienti di stabulazione entro poche ore dalla loro escrezione.

Evitare il contatto feci-urine potrebbe quindi ridurre drasticamente (fino praticamente ad azzerare) l’emissione di NH3 all’interno della stalla con benefici ambientali oltre che in termini di benessere animale e salute degli operatori. Inoltre, raccogliere le urine separate dalle feci consentirebbe di applicare trattamenti specifici per la riduzione delle emissioni in fase di stoccaggio. I sistemi di trattamento che vengono già utilizzati sui liquami convenzionali (mix di feci e urina) come l’acidificazione o l’impiego di inibitori dell’urease potrebbero essere molto più efficaci se applicati alla sola urina. Ovviamente, anche in fase di utilizzazione agronomica, avere a disposizione i due effluenti separati consentirebbe di gestire le applicazioni con maggiore precisione, verosimilmente con ulteriori benefici ambientali.

Evitare il contatto feci-urine nella stalla: sistemi allo studio

A questo punto però viene spontaneo chiedersi come sia possibile evitare il contatto tra urine e feci in una stalla di vacche da latte. Questa domanda, in effetti, non è scontata perché come sappiamo i bovini tendono a produrre le due tipologie di effluenti sulle stesse superfici. Nella realtà di un allevamento di vacche da latte, mantenere le urine completamente separate dalle feci è virtualmente impossibile. Tuttavia, negli ultimi anni sono state sviluppate una serie di tecnologie che consentono diversi livelli di separazione. Alcuni di questi sistemi sono ad una fase di sviluppo ancora molto precoce mentre altri sono già impiegati nelle stalle del nord Europa e, recentemente, anche in Italia.

Lorenzo Leso

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali

Università degli Studi Firenze