La trasformazione del latte in formaggi di qualità è la strada scelta da molti allevatori per aggiungere valore al loro latte; nel caso del Parmigiano Reggiano Dop, se il riconoscimento della grande qualità del prodotto da parte del consumatore italiano ed estero è un dato acquisito e stabilizzato ormai da tempo, abbiamo ben chiaro che si deve continuare a lavorare sodo per non perdere ed anzi allargare le porzioni di mercato acquisite continuando a migliorare la qualità organolettica, nutrizionale ed anche emozionale del prodotto.
Caratterizzarla sempre meglio
A ciò è rivolto l’impegno di coltivatori, allevatori e trasformatori che nei decenni, per non dire nei secoli, hanno sviluppato le esperienze e le competenze necessarie innestando via via soluzioni innovative su una robusta base di tradizioni consolidate. In tale contesto, come per l’alimentazione delle bovine e per molte pratiche di allevamento (in buona parte già stretta- mente regolamentate dal Disciplinare di produzione) si pone l’opportunità/ necessità di rendere sempre più specifiche anche le caratteristiche genetiche delle bovine utilizzate per produrre il latte da trasformare intervenendo su prassi già ben consolidate (sappiamo ad esempio che nel nostro comprensorio la frequenza di varianti B della K caseina è significativamente più alta che nel resto d’Italia, e studi che abbiamo svolto recentemente e che sono in corso di pubblicazione hanno documentato una chiara caratterizzazione genetica della popolazione bovina del nostro comprensorio) che devono essere rinforzate caratterizzando sempre meglio la “vacca da Parmigiano Reggiano”.
Le specifiche esigenze di una filiera come quella del Parmigiano Reggiano sono in buona parte stabilizzate ma sperimentano ugualmente un dinamismo imposto dall’evoluzione delle richieste del mercato.
Se è ovviamente conclusa da tempo la fase storica in cui si ricercavano vacche solo molto produttive in termini di latte (una adeguata produttività è importante ma va riferita non al latte ma al formaggio, cui va riferita ogni valutazione quantitativa), siamo oggi nella fase in cui servono vacche produttrici di qualità, e la qualità di una latte destinato alla caseificazione si riassume in grandissima parte nella sua capacità di coagulare, per cui va fatto un grande sforzo per avere animali il cui latte abbia questa capacità al massimo livello.
Molto si può fare in merito agendo sull’alimentazione delle bovine e sull’ambiente in generale, ma oggi sappiamo che anche la genetica può contribuire a migliorare la coagulabilità del latte ed è imminente la possibilità di indicizzare meglio i tori per la coagulabilità del latte (MCP). È ben noto tra l’altro che sulla caseificabilità del latte incidono anche molti fattori (come ad esempio i giorni di lattazione e cellule somatiche per il loro effetto su acidità titolabile e indice di caseina…), in buona parte abbastanza ereditabili: ciò fa sì che questo carattere, oltre ad essere evidentemente positivo in sé, tenderà a trascinarsi dietro anche questi altri caratteri positivi, contenendone di fatto la maggior parte.
Terza fase la sostenibilità
Se la fase storica della quantità è conclusa e quella della qualità è in pieno sviluppo, si sta aprendo – anzi si è già aperta – una terza fase per il miglioramento genetico, e cioè quella della sostenibilità delle produzioni: la “qualità del prodotto“ si è sempre perseguita e lo si deve continuare a fare, però è strategico capire che bisogna affiancare a questa anche una sempre maggiore “qualità del processo”.
Il termine sostenibilità è un immenso contenitore al cui interno si può trovare quasi di tutto (e talvolta, anche il contrario di quasi tutto…), ma oggi, intanto, significa sicuramente benessere animale ed uso prudente degli antimicrobici. Su questi due temi il Consorzio ha messo in campo varie azioni di monitoraggio oltre che di supporto e stimolo degli allevatori per promuovere il miglioramento delle caratteristiche del processo produttivo del latte e impor- tanti iniziative in merito sono già pianificate per il 2021.
A queste che sono azioni di breve-medio termine, visto che la sfida che abbiamo di fronte interesserà i prossimi decenni, c’è tempo per affiancare anche il contributo che a questo sforzo può dare la genetica. Che sarà un contributo rilevante, come rilevante, anzi rilevantissimo, è stato nelle fasi precedenti il contributo all’aumento delle quantità prodotte e della loro qualità.
Sarebbe importante avere un indice benessere e un indice zoppie
Quale può essere questo contributo? Sul benessere animale la pressione del mercato è fortissima, per cui è importante arrivare ad avere anche una genetica ad hoc. L’Aia ha messo a punto cinque indicatori di benessere animale prodotti a partire dai dati rilevati durante i controlli funzionali (e noi li stiamo usando, insieme ad altri, per progettare una sorta di report che potrà documentare ai buyers di cui sopra il livello di benessere degli animali dei loro fornitori di Parmigiano Reggiano che lo richiederanno): perché non studiare se da quei dati non possano essere estratte anche informazioni utili a indicizzare i tori anche per questi “caratteri” e permettere domani all’allevatore della nostra filiera di scegliere tori “alti a benessere”?
In modo sempre più chiaro la frequenza delle zoppie si va definendo in molti standard di valutazione come uno degli indicatori più sintetici del benessere degli animali, per cui ridurre quelle significherebbe automaticamente migliorare questo. Anche se, dato che è molto complessa la misurazione dei fenotipi, servirà molto tempo e molto lavoro per fornire strumenti che riducano la suscettibilità degli animali ai vari tipi di zoppie sarebbe importante avere doma- ni anche in Italia un “Indice Zoppie”.
Per mantenere la nostra posizione di prestigio
Ho segnalato alcune sfide che chi trasforma il latte in Parmigiano Reggiano si trova di fronte (caseificabilità e sostenibilità) e che vanno vinte per mantenere e magari incrementare una significativa redditività che in questi decenni le varie componenti della filiera si sono divise. Proprio perché questa redditività ricade anche sulla produzione primaria è importante che gli allevatori orientino in modo sempre più deciso e specifico la propria produzione verso le esigenze di chi trasforma il latte (i caseifici) o compra il formaggio (i consumatori). È urgente che il sistema nel suo complesso supporti gli allevatori in questo sforzo operando chi per rilevare sempre più fenotipi in un modo sempre più razionale e chi per utilizzare i fenotipi rilevati per produrre indici in linea con le richieste del mercato di oggi e di domani, mercato i cui segnali sono chiarissimi. Un miglioramento genetico così orientato contribuirà da par suo in questa nuova fase storica a mantenere le produzioni casearie italiane nella posizione di prestigio che tutto il mondo riconosce loro.
Marco Nocetti DVM
Servizio Produzione Primaria Consorzio Formaggio Parmigiano Reggiano