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Daniele Valcavi: “Pascolo di esercizio? Si può fare”

Pascolo di esercizio? Si può fare, in tante situazioni. Con Daniele Valcavi – allevatore che da sempre percorre strade originali – parliamo di allevamento e pascolo, un binomio che torna attuale anche oggi.

Daniele Valcavi è analizzatore del sistema di accoppiamenti aAa® & Weeks® e un allevatore di vacche da latte, ma quest’ultima definizione sicuramente va un po’ stretta nel descriverlo. Perché è un allevatore che percorre strade originali, che traccia direzioni nuove senza badare troppo alle convenzioni e alle abitudini consolidate. E non è nemmeno uomo che badi troppo a quanti sono d’accordo con lui e a quanti, invece, scuotano la testa: come avviene per tutti i pionieri, la convinzione nelle proprie idee e la coerenza nel tradurle in pratica sono più che sufficienti per percorsi tecnici e gestionali in solitaria. Poi però succede che queste idee si dimostrino all’avanguardia e il tipo di zootecnia da latte che ne deriva è molto più in linea con le più moderne necessità. E allora quelli che guardano con interesse al pioniere aumentano e cresce anche il numero di chi comincia a camminare con il suo stesso passo.

Parlare con Daniele Valcavi significa, nello specifico, parlare di pascolo. Perché è proprio il pascolo la cifra della sua originalità, come allevatore (il suo allevamento – azienda agricola Del Gigante – a Baiso, sull’Appennino Reggiano, ha trenta vacche adulte e la rimonta. Per la stragrande maggioranza Reggiane, ma anche alcune podoliche locali. E tutto al pascolo) e come studioso del sistema, perché dire pascolo è dire tutto e niente se non lo si cala esattamente in ogni realtà, adattandolo alle mille specificità di ogni azienda. Di montagna o di pianura, perché, come dice Daniele Valcavi, l’opzione pascolo, in tutte le sue declinazioni, anche parziali, è – teoricamente – per tutte le stalle.

Daniele Valcavi, si può realmente considerare il pascolo una possibilità per tutte le stalle?

Certo, in linea teorica il pascolo è una scelta che può essere inserita in ogni realtà. Ovviamente ci sono tante variabili, ma in linea di massima è possibile quasi ovunque inserirlo. Prima però di ragionare sul come, bisogna sottolineare il punto di partenza, che deve essere un cambio di mentalità. Il pascolo è una scelta di testa, è solo una parte di un tutto più complesso, di un modo di vedere e impostare l’allevamento in armonia con la terra, con l’ambiente, con la ciclicità degli eventi. È sbagliato pensarlo come un pezzetto aggiuntivo di gestione da mettere e togliere dentro al meccanismo della stalla. Chi pensa al pascolo deve capire che è una scelta che si sposa e si segue negli anni. Per questo, prima della terra, delle strutture, viene la testa dell’allevatore. Certo, poi viene il resto: serve terra a disposizione, organizzazione dei turni di pascolo, definizione di percorsi e delimitazioni, lavoro continuo per avere sempre di che alimentare le bovine, organizzazione della mungitura e mille altri aspetti. Il tutto poi cambia se la stalla è di pianura, magari irrigua, o di montagna. Certo – questo va detto –  una scelta così è praticabile se è impostata fin dall’inizio e si definisce a poco a poco nei suoi dettagli. La trasformazione di una azienda stanziale è molto complessa.

Sicuramente l’opzione “tutto pascolo” è impegnativa e per pochi, forse pochissimi. Ma ci sono però anche possibilità meno “radicali”, ossia l’inserimento nell’azienda di un’area di pascolo dedicata a un certo gruppo di animali. Non con un significato nutrizionale, ma soprattutto funzionale. È quello che viene infatti definito pascolo di esercizio. Cosa ne pensi?

Questo è sicuramente un passo molto più semplice e alla portata di tantissime aziende. Sono poche quelle che non possono individuare un pezzo di terra prossimo alla stalla da destinare a pascolo di esercizio. In sé è una cosa semplicissima: si fanno le recinzioni, si definiscono i percorsi per l’entrata e l’uscita dalla stalla delle bovine. Ovviamente si deve studiare con attenzione il carico animale e le superfici, per evitare di tornare al solito vecchio paddock, solo un po’ più grande, polveroso d’estate e fangoso d’inverno. Parliamo infatti di pascolo, ancorché di esercizio, e deve quindi essere un’area inerbita, dove le bovine possano anche mangiare dell’erba, ma non è questo il suo scopo principale.

Il cotico erboso – o, meglio, il suo mantenimento nel tempo in buone condizioni –  è sicuramente una punto impegnativo. Dove si deve lavorare?

Il polso della situazione te lo dà l’erba, non le vacche. Finché c’è erba tieni gli animali. Quando comincia a farsi striminzita, prima che diventi fieno secco in piedi, è ora di spostare gli animali. È sottointeso che una rotazione, sia pure blanda (diciamo 7-10 giorni) è necessaria, per dare il tempo alla parte a riposo di riprendersi e avere una nuova copertura erbosa. Di questo va tenuto conto nella definizione degli spazi da assegnare e dell’organizzazione delle varie superfici. Poi si può considerare una semina autunnale per riparare il cotico e averlo pronto per la stagione successiva. Più in generale bisogna guardare a questa superficie non come un’area marginale, ma come fosse un seminativo vero e proprio, con le stesse attenzioni e la stessa cura. Altrimenti il rischio di ritrovarsi il paddock polveroso è sempre in agguato.

Per quali gruppi di animali vedi più indicata la destinazione a pascolo di esercizio?

Partiamo dalla categoria dove è più complicato il suo inserimento: le vacche in lattazione. Molto più semplice se consideriamo altre categorie di animali. Per le asciutte, ad esempio, fermo restando che abbiano la loro razione corretta di asciutta stalla e non si pensi di usare il pascolo di esercizio anche come unica fonte alimentare. Anche le manze sono animali per i quali l’inserimento del pascolo di esercizio è semplice e praticabile. Animali molto giovani, appena dopo lo svezzamento, o più vecchi, subito dopo la prima fecondazione. Ci vedo soprattutto vantaggi da una scelta come questa.

Parlare di pascolo, sia esso classico o di esercizio, significa anche parlare di recinti e recinzioni. Recentemente si stanno affacciando sulla scena zootecnica quelle che potremmo definire delle recinzioni virtuali, per destinare gruppi di animali a specifici appezzamenti senza paletti e fili da spostare di volta in volta. Tu hai fatto delle prove nel tuo allevamento, che giudizio ne dai?

Direi luci e ombre. Il sistema è basato su dei transponder messi al collo delle bovine. Grazie a una App specifica, sullo smartphone si tracciano i confini virtuali della parcella (che possono essere cambiati in continuazione) entro cui dovranno stare le bovine e al resto ci pensano i transponder. Quando la bovina si avvicina al limite parte un suono, prima intermittente, poi continuo e, infine, c’è una lieve scossa elettrica. Le bovine imparano abbastanza presto come funziona la cosa e i limiti entro cui stare. Su questo direi che la cosa funziona. Tuttavia, ci sono alcuni punti critici, a mio avviso. Il sistema si basa su un rilevatore GPS e c’è una sensibilità di almeno un metro nella definizione del limite. In zone fortemente antropizzate, con strade di prossimità, potrebbero esserci problemi. Ancora di più se la bovina uscisse comunque dal recinto, che, non dimentichiamolo, è solo virtuale. Non c’è la sicurezza del filo elettrificato che visivamente dà a tutte le bovine nel recinto un limite chiaro, visibile e tattile. Vedo il sistema molto più interessante per grandi estensioni e animali liberi, per i quali questa attrezzatura diventa un modo anche per tenere monitorati gli animali e sapere dove si trovano. Ma per piccole parcelle direi che la delimitazione classica con il filo resta la soluzione preferibile.