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Sorgo, rotazioni e razioni: la rotta del Parmigiano Reggiano oltre il mais

Nel comprensorio del Parmigiano Reggiano il mais è una materia prima sempre meno prevedibile, per quantità e sanità: estati più calde, meno acqua disponibile e un rischio crescente di micotossine mettono in discussione rese e qualità, problema che diventa più acuto dove l’irrigazione non è possibile.

C’è poi la parte ambientale e di sostenibilità della produzione, sempre più centrale: materie prime importate, magari da altri continenti, hanno un carico in termini di impronta di carbonio la cui criticità si somma alle incertezze crescenti dei mercati internazionali.

Allo stesso tempo, le bovine che fanno latte da Parmigiano Reggiano, con la crescita della loro produttività, hanno fabbisogni energetici sempre più elevati e pertanto è fondamentale garantire una disponibilità di materie prime energetiche adeguata e certo non in contrazione.

Urgente una riflessione sul mais

Tutto ciò, da qualche tempo, ha reso urgente una riflessione sul mais e sulla possibilità che esso possa continuare ad essere (insieme alla soia per la componente proteica) l’architrave della razione delle bovine da Parmigiano Reggiano.

Una riflessione del Consorzio che si sta traducendo in ricerca e progetti mirati, con l’obiettivo di legare sempre di più il formaggio al suo territorio, oltre che per la parte foraggera, anche sul fronte cerealicolo, riducendo la dipendenza da cereali (mais in particolare) importati e aprendo spazio a colture più adatte ai nostri terreni, che possano essere coltivate nel Comprensorio o, in subordine, a livello regionale.

La presentazione operativa di IMAGE LIFE (uno di questi progetti), avvenuta il 29 settembre presso la sede del Consorzio, ha riunito istituzioni, università e industria mangimistica per fare il punto sul progetto ma anche, allargando l’obiettivo, su come portare in campo e in stalla questa transizione dal mais al sorgo. Con i contributi di Riccardo Deserti (direttore generale del Consorzio), Patrizia Bianconi (Regione Emilia-Romagna), Giovanni Dinelli (Università di Bologna, coordinatore IMAGE LIFE), Andrea Formigoni (Università di Bologna), Fausto Toni (direttore R&S PROGEO sca) e Fabio Gardosi (responsabile conferimenti PROGEO sca), sono stati messi a fuoco indirizzo strategico, cornice istituzionale, risultati scientifici e strumenti industriali necessari a rendere scalabile il cambiamento.

Per dirla con l’impostazione richiamata da Deserti: sicurezza delle forniture e ancoraggio territoriale sono due facce dello stesso progetto strategico per il Parmigiano Reggiano.
Non si tratta – è importante sottolineare – solo di un tema agronomico: è un tassello chiave di una politica di filiera che tocca redditività, sostenibilità e identità del Parmigiano Reggiano.

Meno mais, più sorgo (cosa cambia in campo e in stalla)

Nelle aree non irrigue del comprensorio coltivare mais significa oggi esporsi a rese incerte e, soprattutto, a un rischio più alto di contaminazioni. Il problema non riguarda solo le aziende agricole: l’industria mangimistica segnala difficoltà crescenti nel reperire mais conforme per volumi e qualità, con l’area di rischio che si estende verso nord in Europa. A ciò si sommano tre elementi che toccano da vicino il Parmigiano Reggiano: l’esigenza di mantenere razioni energetiche per mandrie con produzioni comparabili al latte alimentare ma senza uso di insilati; la necessità di ridurre la dipendenza da materie prime importate per motivi ambientali e di percezione del consumatore; l’opportunità di radicare la filiera anche sul fronte cerealicolo, distribuendo valore sul territorio di pianura, collina e montagna e riducendo i rischi sugli approvvigionamenti legati alle periodiche turbolenze dei mercati.

Il sorgo è oggi la prima alternativa praticabile al mais in molti contesti del comprensorio. È più tollerante a caldo e siccità, mantiene profili di sanità della granella più favorevoli rispetto al rischio micotossine e consente produzioni interessanti dove il mais fatica. Non sostituisce “tutto e ovunque”: in aree con irrigazione e condizioni ottimali il mais resta competitivo, ma dove l’acqua è limitante il sorgo risulta spesso consigliabile.

Sul piano nutrizionale, l’esperienza di ricerca e di campo indica che il sorgo può rimpiazzare quote significative – talvolta anche totali – del mais in razione, a condizione di curare alcuni punti operativi: scelta varietale coerente con l’obiettivo, macinatura più minuta per migliorare la digeribilità dell’amido, bilanciamento delle integrazioni proteiche e minerali.

Filiera, redditività e ruolo dei mangimisti

Il binomio mais–soia mostra limiti tecnici, logistici e ambientali. Cambiare richiede competenze nuove lungo tutta la catena: protocolli agronomici aggiornati per chi semina, strumenti di razionamento dedicati per chi formula, accordi di filiera. Il nodo è la redditività: perché l’adozione sia stabile, una quota del valore aggiunto generato dal sistema Parmigiano Reggiano deve ricadere anche sulle colture alternative, così da orientare sempre più ettari del comprensorio – e, se necessario, delle province limitrofe – verso produzioni che alimentano in modo affidabile le bovine da Parmigiano Reggiano. Tutto questo darebbe garanzia di approvvigionamento locale di quantità crescenti di cereali, certezza di legame con il territorio, riduzione dell’impatto ambientale.

In questo passaggio – che vede la necessità di superare metodi di produzione, protocolli, abitudini consolidate e ciò costituisce sempre una difficoltà – i mangimisti sono un perno indispensabile: condividono l’obiettivo strategico, presidiano qualità e sicurezza delle materie prime e rappresentano con i loro tecnici la cinghia di trasmissione tra ricerca universitaria e pratica di campo, mettendo a terra in maniera efficace il patrimonio di conoscenza e di nuove evidenze che si stanno accumulando negli ultimi anni.

Conclusioni

Il binomio mais–soia ha retto a lungo, ma oggi mostra limiti tecnici, logistici e ambientali. La risposta non deve essere ideologica ma pragmatica: cercare e capire quale sarà il percorso agronomico e nutrizionale delle stalle da Parmigiano Reggiano, mantenendo, anzi aumentando sempre di più il valore generato e facendo sì che parte di questo valore aggiunto possa andare a ripagare scelte agronomiche nuove sul territorio, come la coltivazione del sorgo, trattenendo valore e ricchezza. Una sfida che coinvolge tutti: agricoltori, allevatori, mangimisti, istituti di ricerca. Una sfida impegnativa, certo, ma alla nostra portata.

Perché questo interessa l’allevatore da Parmigiano Reggiano

Per i produttori di latte da Parmigiano Reggiano ripensare il ruolo del mais nelle razioni e nelle produzioni agronomiche significa, ora e in prospettiva, mettere in sicurezza l’alimentazione delle bovine e rendere più prevedibili costi, forniture e sanità delle razioni. La transizione verso rotazioni che includono il sorgo – e, quando utile, altre colture locali – consente di mantenere energia in razione anche con meno (o senza) mais, contenendo il rischio micotossine.

Significa anche ancorare sempre di più il segmento primario al territorio, andando oltre la già importante quota rappresentata dai foraggi. Un elemento strategico, per i suoi aspetti di sostenibilità e di gradimento del consumatore, che va a impattare direttamente sul valore del Parmigiano Reggiano, divenendo un vero e proprio indicatore di qualità.