Skip to content Skip to footer

Quali rapporti tra mastite e microbiota del latte?

Quello del microbiota è un tema molto complesso, almeno per i non specialisti, che viene qui presentato in modo molto accurato ma con un linguaggio divulgativo. Questo perché, se è un tema decisamente nuovo, è anche un tema col quale ci si dovrà abituare a lavorare poiché, ponendo una significativa novità nelle conoscenze sulla fisiopatologia della mammella, potrà essere un punto di partenza per lo sviluppo di pratiche e prodotti in grado di fornire nuovi strumenti per il miglioramento della qualità del latte. Ma soprattutto potrebbe permettere di farlo contenendo l’uso di antibiotici, fornendo la possibilità di gestire sempre meglio gli equilibri microbiologici e biochimici che sottendono alla sanità della mammella.

Il ruolo cruciale svolto dalla flora microbica nella biologia dei vertebrati è ormai noto da tempo. Più di recente, grazie ai notevoli progressi delle tecniche per lo studio dei genomi microbici, abbiamo scoperto che quasi tutto l’organismo animale è colonizzato da un’ampia varietà di microrganismi, inclusi organi precedentemente ritenuti sterili o quasi.

Fra questi ultimi troviamo la mammella dei ruminanti, un organo di particolare interesse per le produzioni lattiero-casearie. La presenza di una flora residente, o “microbiota”, anche in quest’organo potrebbe avere fondamentali implicazioni per la nostra concezione del suo equilibrio microbico, e, conseguentemente, delle infezioni intramammarie e delle mastiti. Tradizionalmente, una ghiandola mammaria sana è sempre stata considerata priva di microrganismi, e qualsiasi batterio isolato dal latte immediatamente dopo il campionamento o la mungitura è stato ritenuto indicativo di un’infezione o di una contaminazione esterna.

L’applicazione dei moderni metodi di caratterizzazione molecolare, che prevedono l’amplificazione e quindi il sequenziamento di tutto il DNA appartenente ai microrganismi o di parte del loro gene 16S, una sorta di “codice a barre” batterico, ha tuttavia rivelato la presenza di materiale genetico riconducibile ad un’ampia e variegata popolazione micro- bica anche nel latte appena prelevato da mammiferi sani.

Due diverse visioni

Questi risultati sono al momento oggetto di diverse interpretazioni da parte della comunità scientifica.
Una visione considera tale DNA come il possibile indicatore della presenza di un microbiota “normale” nel latte sano, in contrasto con il consolidato concetto di sterilità della mammella. I risultati ottenuti in medicina umana supportano decisa- mente questa ipotesi; diversi studi hanno dimostrato che nel latte di donna è presente un microbiota residente piuttosto eterogeneo, molto importante per la corretta maturazione del microbiota intestinale del bambino. Anche la mammella sarebbe quindi normalmente colonizzata da microrganismi “buoni”. Per estensione, ciò porterebbe a considerare la mastite come la conseguenza di un’alterazione del normale equilibrio fra l’ambiente mammario e i microrganismi in esso residenti.

La visione alternativa sostiene invece che il DNA batterico rilevato nel latte sano non indichi la presenza di un vero e proprio microbiota, cioè di una flora microbica viva e metabolicamente attiva, ma sia un risultato artificioso derivante dall’estrema sensibilità dei metodi utilizzati. Piccole quantità di materiale genetico potrebbe- ro infatti originare da contaminazioni introdotte nel processo di campionamento o di mungitura, o ancora appartenere a microrganismi che riescono a raggiungere il latte passando attraverso il canale del capezzolo e che, seppur catturati dal- le cellule fagocitarie, sono resi rilevabili e identificabili dal processo di amplificazione. Si tratterebbe quindi di materiale genetico microbico residuo e non di un vero e proprio microbiota residente.

Secondo Pascal Rainard

L’argomento è stato presentato e discusso nel contesto della “Nmc 2018 International Bovine Mastitis Conference”, tenutasi dall’11 al 13 giugno scorsi nella sede centrale dell’Università degli Studi di Milano. I due invited speakers della sessione “Milk Microbiota and Mastitis” hanno illustrato l’argomento e hanno fornito la loro diversa interpretazione degli ultimi dati scientifici.

Il dott. Pascal Rainard dell’Inra ha sostenuto la visione più tradizionalista, che vede il latte all’interno della mammella come privo di microrganismi in condizioni fisiologiche, mentre il dott. George Oikonomou dell’Università di Liverpool ha sostenuto quella più innovativa, che interpreta i più recenti risultati molecolari come indicativi della presenza di un eterogeneo microbiota residente della mammella.

Il dott. Rainard si è inizialmente concentrato sulla terminologia, sostenendo che in questo caso sia preferibile utilizzare il termine “microbioma” poiché quanto evidenziato nella mammella in seguito ad amplificazione sarebbe solo materiale genetico e non un vero e proprio “biota” dal metabolismo attivo e con funzioni biologiche. Secondo Rainard, la presenza di microrganismi vivi e vitali nella mammella in condizioni fisiologiche è incompatibile con i normali meccanismi di difesa immunitaria, poiché i sistemi “sensori” dell’organo innescherebbero una risposta che porterebbe inevitabilmente allo sviluppo di una mastite. Anche l’ipotesi di un’origine interna, cioè mediata da una via enteromammaria come dimostrata nella donna, sarebbe da scartare per la stessa ragione.

Secondo Rainard, quindi, non esisterebbe un microbiota della ghiandola mammaria, e se esistesse una forma di colonizzazione la sua importanza per il mantenimento della salute dell’organo sarebbe discuti- bile. In altri termini, la ghiandola mammaria non è un ecosistema.

Secondo George Oikonomou

Il dott. Oikonomou ha quindi esposto la sua prospettiva sull’argomento e ha riportato i risultati sperimentali ottenuti con le tecniche molecolari, che ha commentato con diverse interessanti osservazioni.

In particolare, ha citato i numerosi studi a supporto della presenza di un microbiota del latte nella donna. In medicina umana la ricerca sull’argomento è molto più avanzata; i ricercatori sono ormai quasi tutti concordi nel sostenere che nella mammella sana è effettivamente presente una flora microbica normale, e che questa ha un ruolo nella salute della madre e del bambino.

Per quanto riguarda il latte bovino, il gruppo di ricerca di Oikonomou ha affrontato sperimentalmente la tematica sotto diversi aspetti, mentre altri ricercatori hanno lavorato per chiarire l’influenza del campionamento e della contaminazione sui risultati ottenuti. È di pochi mesi fa la notizia che anche il latte prelevato sterilmente con un ago dalla cisterna mammaria bovina contiene DNA appartenente a numerose specie batteriche.

Il gruppo di Oikonomou, nello specifico, ha dimostrato che la diversità batterica dei quarti sani è maggiore di quella dei quarti con mastite; che la guarigione è associata alla riduzione della carica to- tale ma anche ad una maggiore diversità batterica; che dopo un’infezione speri- mentale, alla risoluzione della mastite il microbiota tende a tornare alle condizioni iniziali; e che il trattamento con antibiotico influenza il microbiota, ma dopo qualche tempo si ripristina uno stato simile a quello originario. C’è ancora molto da lavorare, ma i dati ottenuti dal gruppo del relatore e da altri ricercatori impegnati in questo settore ci danno una forte indicazione che in effetti il latte possa essere costantemente colonizzato da microrganismi, seppur da una comunità poco numerosa di cui non abbiamo ancora ben chiare le implicazioni per la salute della vacca e del vitello.

Oikonomou ha chiuso quindi con un’interessante proposta: usare le tecniche metagenomiche (cioè quelle che prevedono l’analisi di tutto il DNA microbico) per la comprensione delle mastiti con esito microbiologico negativo. La sensibilità e le elevate prestazioni analitiche dell’approccio metagenomico potrebbero infatti aiutarci a capire cosa non va nell’equilibrio microbico di questi animali; ad esempio, se si tratta di un’infezione da parte di microrganismi non coltivabili oppure di condizioni non dovute ad uno specifico agente causale bensì ad un’alterazione generale del normale equilibrio microbico.

La discussione che è seguita e che ha coinvolto pubblico e moderatori ha ulteriormente evidenziato l’interesse di ricercatori e produttori nei confronti della tematica. Sarà senza dubbio necessario lavorare ancora tanto per sciogliere i dubbi relativi a questo importante aspetto della salute della ghiandola mammaria. Quello che auspichiamo tutti, in ogni caso, è che il dibattito scientifico e il confronto aperto e intelligente delle idee restino sempre vivi e vitali come li abbiamo visti in questa stimolante sessione.

Maria Filippa Addis

Professore associato presso il Diparti- mento di Medicina veterinaria, Università di Milano.