Carlo Gazza, figlio di allevatori di vacche da latte, un inizio di carriera come veterinario buiatra e poi una lunga militanza nell’azienda Farmaceutica Fatro, arrivando alla carica attuale di vice-presidente di Fatro Italia e Presidente di Fatro Iberica, la zootecnia da latte la conosce sicuramente da tante sfaccettature: dell’allevatore, del veterinario, del dirigente di una importante casa farmaceutica. Essendo poi di Parma, parlare di zootecnia da latte e pensare in primis al Parmigiano Reggiano è quasi inevitabile.
Un formaggio che, anche decenni fa, veniva fatto con un latte di stalle dove l’attenzione a tanti dettagli di qualità era già più alta che nel resto della produzione da latte. “Ero probabilmente ancora al Liceo – ricorda Carlo Gazza – ma ho ben presente le scene che si potevano vedere la talvolta la sera al bar. Erano appena partiti i primi piani del Consorzio per la qualità del latte destinato a Parmigiano Reggiano. Si cominciavano a premiare miglioramenti della qualità, ad esempio per carica batterica, cellule somatiche, caseificabilità. E non era difficile imbattersi in dispute tra allevatori sul perché l’uno aveva un’alta carica batterica e su come e perché, ad esempio, sbagliasse a lavare la mungitrice. Discussioni a non finire, che si facevano anche assai animate, quasi fossero dispute calcistiche”.
Da allora è passato tanto tempo, ma il lavoro per il miglioramento del latte destinato a Parmigiano Reggiano non è mai finito, anzi, si è arricchito via via di nuovi elementi. Però l’episodio da lei descritto indica una propensione, una cultura del miglioramento continuo che è connaturata agli allevatori da Parmigiano Reggiano. Quanto è importante questa cultura, anche alla luce delle sfide più immediate per il settore?
Direi che è molto importante. Il miglioramento passa ancora soprattutto da una crescita culturale, che porta di conseguenza a una crescita tecnica. Questo vale a livello di stalle e di allevatori, ma anche di veterinari: il mondo del Parmigiano Reggiano ha una sua tipicità, una sua unicità nella zootecnia da latte. Bisogna capire sempre meglio questo e capire che anche la tecnica di allevamento, le scelte strutturali, la gestione, la sanità degli animali vanno affrontate in maniera specifica per stalle da Parmigiano Reggiano. Ripeto, vale per gli allevatori, ma anche per i veterinari: lo sforzo deve essere quello di capire meglio cosa c’è dietro al problema quando esso si manifesta, per riuscire a prevenirlo prima di essere costretto a curarlo. Confesso che un mio sogno nel cassetto è un Master Fatro proprio per veterinari da Parmigiano Reggiano.
Anche perché i tempi del farmaco – e in particolare dell’antibiotico – che rimedia ad eventuali errori in qualche fase dell’allevamento sono finiti. Stiamo entrando, a questo riguardo, in un vero e proprio cambio di paradigma. Se poi ci mettiamo l’imperativo del benessere animale lo scenario dell’allevamento cambierà radicalmente. Poi parleremo di questo. Ma prima vorrei chiederle come tutto questo ha un impatto su una grande azienda farmaceutica, che – ovviamente – fa anche della vendita di farmaci una questione di business.
Naturalmente non posso che parlare per conto di Fatro. Ebbene, per noi quello che oggi si sta materializzando, con la spinta a consumare meno antibiotici e a migliorare fortemente il benessere animale, non è certo una rivoluzione, ma la naturale conseguenza di un cambio di prospettiva industriale iniziato fin dai tempi della crisi della vacca pazza. Fu la prima scossa grave al sistema zootecnico per come era andato definendosi fino ad allora, verso la sempre maggiore intensivizzazione. Allora decidemmo di dare una svolta alla nostra attività puntando su un modello più in linea con le esigenze di benessere degli animali e sul consapevole uso del farmaco, lavorando anche per comunicare meglio questo approccio. Ora questo cambio di scenario non ci trova impreparati, tutt’altro.
Qualche esempio?
Per stare sulle iniziative più recenti, abbiamo creato da alcuni anni proprio una Linea Benessere che riguarda – ovviamente – il curare gli animali al meglio, perché il benessere è in primo luogo curare un animale malato. Ma nello specifico l’obiettivo è anche quello di rendere meno dolorose certe pratiche. Ad esempio, per la decornazione del vitello abbiamo un programma che prevede l’utilizzo di un anestetico al momento della decornazione e in contemporanea di un antidolorifico che permette al vitello di stare molto meglio e di non subire traumi.
Se passiamo al tema della riduzione del consumo di antibiotici, da un paio d’anni offriamo come servizio un test rapido da campo per individuare tempestivamente i microrganismi coinvolti in una mastite. Nel giro di 10-12 ore, quindi nel tempo che precede la mungitura successiva al prelievo, il veterinario può vedere se si tratta di batteri trattabili con antibiotico efficacemente, o batteri per i quali il trattamento antibiotico sarebbe inutile e che potrebbero guarire anche senza con un semplice antinfiammatorio. O, ancora, mastiti che sembrano di origine batterica, ma non lo sono. Ebbene, abbiamo visto che, se le cose sono fatte bene, è possibile con questo approccio ridurre dal 50 al 70% l’uso di antibiotico nel trattamento delle mastiti. Attenzione però: quando si parla di consumo di antibiotico è importante mettere l’allevamento da latte nella giusta posizione, quanto a numeri e consumi. Con un consumo di poco meno di 700 tonnellate di antibiotici in campo animale in Italia,– l’allevamento della vacca da latte a ciclo completo, considerando cioè anche le rimonte e la vitellaia – “vale” solo 14 tonnellate, quindi circa il 2% degli antibiotici utilizzati in tutti gli animali italiani in un anno. E, probabilmente, gli allevamenti da Parmigiano Reggiano utilizzano ancora meno antibiotici. Ciò, ovviamente, non toglie nulla al fatto che si debba lavorare per avere mandrie ancora più sane e resistenti. E qui emerge il collegamento chiarissimo con il benessere animale. Direi che il legame è tanto stretto che ha senso parlare di riduzione del consumo di antibiotico solo in associazione al benessere animale.
Restiamo allora su questo binomio: benessere animale e riduzione del consumo di antibiotico. Prima si accennava alla questione culturale, alla necessità di guardare l’allevamento in ogni suo passaggio per capire in anticipo la possibile causa di un problema. A suo avviso quali sono le criticità maggiori?
Lavorare sul benessere animale porta a vantaggi che si vedono a tutti i livelli, in primis sulla sanità delle bovine. Ad esempio dare più spazio agli animali nella stalla, riducendo le densità, porta a miglioramenti generali importanti. Si devono ridurre le zoppie e migliorare i dati di permanenza in stalla delle vacche. Sottolineerei anche una maggiore attenzione alla biosicurezza, un argomento che non vedo ancora considerato con grande attenzione. L’isolamento e la recinzione delle stalle o la difesa, nei limiti del possibile, dagli ingressi degli uccelli sono temi critici per la sanità degli animali. Altro punto importante è la qualità dell’acqua di abbeverata: la vacche bevono tantissimo e la qualità dell’acqua è fondamentale.
Come vede il passaggio all’asciutta selettiva?
Sicuramente è una grande sfida, a cui non ci si può sottrarre dato che è prevista da un Regolamento europeo ormai entrato in vigore. Personalmente sono ottimista sui risultati che avremo, anche se certamente è una pratica da affrontare con i passi giusti, senza buttarsi a capofitto, per non avere poi un picco nei casi di mastite e quindi di necessità di utilizzare antibiotici per la loro cura, il che sarebbe un controsenso rispetto agli obiettivi. Credo serva un addestramento specifico per i veterinari per capire meglio quali animali destinare al trattamento e quali no e anche per gli allevatori, perché anche la gestione della stalla va rivista e, in certi casi, migliorata. Una curiosità: come Fatro, abbiamo abbinato al nostro sigillante un QR code che spiega in cinque lingue – quelle maggiormente in uso nel personale di stalla – le modalità ottimali da seguire per la sua applicazione.
C’è sempre una strettoia finale quando si parla di allevamento e alla quale non sfugge nemmeno quello da latte: la comunicazione al consumatore finale di quel che si fa. Eppure di cose buone ce ne sono tante, molte di più di quanto la gente comune pensi. Da uomo anche di marketing, quale è la sua visione sul settore e sui passi, anche più recenti, fatti in questo senso dal Consorzio del Parmigiano Reggiano?
Cominciamo da qualche dato recente, emerso da una ricerca commissionata da Aisa (l’Associazione delle industrie che si occupano di sanità animale) riguardo alle scelte del consumatore. Ebbene, abbiamo visto che il 71% del campione percepisce i prodotti Made in Italy come prodotti di qualità e 2 intervistati su 3 sarebbero disposti a pagare anche di più se ci fossero informazioni sicure sul benessere animale. Quindi c’è una questione di valore del prodotto italiano riconosciuta, ma anche la sottolineatura che il benessere animale non è abbastanza bene comunicato al consumatore. Questo ovviamente ha una rilevanza ancora maggiore per un prodotto “speciality” come il Parmigiano Reggiano. Il marchio è talmente noto e già collegato a qualità ed eccellenza di prodotto che non avrebbe senso investirci sopra per ribadirlo. Per questo il piano della comunicazione si deve spostare sulle modalità di produzione, ossia su come si arriva a produrre una forma di Parmigiano Reggiano, su come si allevano gli animali, sul benessere in stalla, sul basso consumo di antibiotici, sul suo essere tutt’uno con un territorio unico, come le Langhe o il Chianti per il vino. Per questo ritengo che le recenti iniziative del Consorzio abbiamo colto esattamente nel segno, andando esattamente in questa direzione. E sul Bando Benessere c’è una originalità unica in tanti sensi, ma una in particolare che mi piace sottolineare. Comunicare che si sta lavorando per alzare sempre di più il benessere animale nelle stalle e ridurre il consumo di antibiotici, premiando chi progredisce, è un fatto di trasparenza importante. Significa essere chiari, dire: siamo a buon punto, ma lavoriamo e lavoreremo per essere ancora meglio. È una questione etica importante.
Anche l’etica di produzione diventerà un ingrediente?
C’è un valore etico della produzione, in tutta la sua filiera, fatto di rispetto per l’ambiente, di benessere animale, di basso consumo di farmaci, di sostenibilità, di legame con il territorio, di rispetto sociale che il consumatore considererà con sempre maggiore attenzione, soprattutto per prodotti di alta fascia. Quindi la risposta alla domanda è sì. Già lo è, e lo sarà ancora di più in futuro.