Intervista a Eliana Schiavon, ricercatrice presso l’Istituto zooprofilattico delle Venezie di Padova e attuale presidente della Società italiana di buiatria.
Quando si parla di allevamento da latte, e quando soprattutto si parla di vitellaia, la patologia respiratoria è uno degli aspetti sanitari a cui prestare molta, molta attenzione. Tanto più per allevamenti che producono latte per il Parmigiano Reggiano per i quali il lavoro di contenimento dell’uso degli antibiotici è strategico e dovrà essere portato ai livelli più bassi possibile.
E di patologia respiratoria parliamo con Eliana Schiavon, ricercatrice dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie di Padova e attuale presidente della Società italiana di buiatria. Da anni si occupa di sanità dei bovini e, operando in Veneto, il focus principale della sua attività non può che essere il bovino da carne. È un tipo di allevamento, questo – molto diffuso in Veneto – dove storicamente ci si confronta con questo problema.
Eppure nell’ultimo periodo qualcosa è cambiato. Mentre nel bovino da carne la patologia respiratoria è sempre più controllata, grazie ad ambienti di allevamento decisamente migliorati e a più attente pratiche gestionali, il problema si sta manifestando in maniera crescente nell’ambito della bovina da latte e in particolare nella vitellaia.
Prova ne è che il lavoro della dr.ssa Schiavon è ora sempre più rivolto verso stalle da latte.
Non è un problema di poco conto, perché coinvolge un numero crescente di animali; è responsabile di una parte importante della quantità di antibiotico utilizzato in allevamento e quindi ha un peso nelle dinamiche dell’antibiotico resistenza; compromette la futura carriera della lattifera, in termini di crescita e di produzione; penalizza l’immagine dell’allevamento presso l’opinione pubblica e il consumatore. Insomma, un problema serio.
Dr.ssa Schiavon, perché il bovino è così soggetto alla patologia respiratoria?
Perché il bovino nasce già deficitario dal punto di vista polmonare. E questo dobbiamo saperlo e considerarlo in partenza. Il bovino che noi alleviamo ha un polmone piuttosto piccolo rispetto a tutto l’organismo. In una lattifera o in un bovino da carne il polmone arriva al massimo a 10 kg, su 600-700 kg di animale. E lì però il sangue passa continuamente, è continuamente irrorato, e va a coprire tutto il fabbisogno di ossigeno nell’organismo. Quindi il bovino è un animale che, per la propria struttura, è già in deficit respiratorio in partenza. E cosa fa un animale che è in deficit respiratorio? Respira più velocemente. E se respira più velocemente aumenta l’assunzione di polveri, batteri, virus.
Quali danni crea la patologia respiratoria?
Porta a lesioni gravi del polmone, che danno perdita dell’animale (molte volte) e richiedono un consumo di farmaci importante. E non di rado non se ne esce. Ci sono tante perdite di vitelli, ma anche perdita di valore della vacca da latte perché si ha un ritardo nel primo parto e riduzione della produzione nelle lattazioni successive. Un vitello che sopravvive alla patologia respiratori, insomma, darà una lattifera più problematica sanitariamente, meno produttiva e meno efficiente.
Quale è la causa – o, meglio, quali sono le cause – della patologia respiratoria?
Dobbiamo parlare al plurale, perché la patologia respiratoria è causata da un insieme di fattori. Ci sono batteri e virus coinvolti, naturalmente, ma c’è anche una componente molto importante data dalla gestione e dall’ambiente di allevamento, dalla recettività del vitello e dagli stress che può subire. Parlando di patologia respiratoria dobbiamo considerare tre aspetti chiave: l’ospite; le specie batteriche e virali; le strutture e il management dell’allevamento.
C’è una maggiore o minore suscettibilità in base alla razza?
Il più recettivo è il vitello di razza Bruna per arrivare alla Jersey che ha la maggiore resistenza alla patologia respiratoria. La Frisona è a metà, ma sempre più notiamo che anche la Frisona italiana ha dei deficit importanti e una suscettibilità crescente alla patologia respiratoria. E questo spiega anche come il mio lavoro si sia spostato principalmente dal bovino da carne a quello da latte e alla vitellaia in particolare.
Restiamo sul vitello e sulla sua recettività. Partiamo dalla colostratura e dalla sua importanza
Una buona colostratura è fondamentale. Non solo nelle forme enteriche, ma anche nelle patologie respiratorie. Tutti gli anticorpi che possiamo dare nel momento della colostratura sono infatti un beneficio anche per l’apparato respiratorio del vitello. Allargherei il discorso anche all’alimentazione: un animale che non si nutre correttamente in termini di proteine e di carboidrati è un animale che si ammala più facilmente di un animale che viene alimentato in maniera sana. E il primo alimento è il colostro.
C’è poi il grosso capitolo delle vaccinazioni…
Le vaccinazioni devono essere fatte in maniera corretta e nei tempi giusti, in base all’eziologia e alla comparsa delle problematiche. Ricordiamo che il vitello è un animale che se ben colostrato ha una sua immunità. Quindi con le vaccinazioni non devo interferire con l’immunità materna, altrimenti non ottengo nulla. Sottolineo un aspetto importante: la vaccinazione aiuta nella patologia respiratoria, è un’arma efficace, però non deve essere fatta “per sentito dire”, guardando quel che fa il vicino. Deve essere studiata a tavolino con il veterinario aziendale, che ha individuato i momenti critici dell’allevamento. Con la vaccinazione non devo fare altro, infatti, che arrivare prima del momento critico per cercare di dare l’immunità a quell’animale. La vaccinazione, insomma, è una “camicia” che si mette all’animale e deve essere fatta su misura. Certo, alcuni patogeni sfuggono alla vaccinazione, non molti in verità. Per Pasteurella multocida, Coronavirus e Mycoplasma bovis ad oggi non esiste vaccinazione. Ecco perché oltre alla vaccinazione serve altro.
Parliamo quindi di management. Quanto è sentita l’esigenza di lavorare sul miglioramento della vitellaia?
Vedendo molti allevamenti tocco con mano quanto la vitellaia non sia considerata il punto di partenza per la costruzione di una vacca eccellente. La vitellaia è in genere posta in un angolo, magari anche a favore delle correnti d’aria. Attenzione: trattandosi di animali così giovani la vitellaia deve essere come una specie di piccolo asilo, fatto bene. Con strutture e pulizia di alto livello. L’elevata mortalità nella rimonta che si registra negli allevamenti, con la maggior parte delle perdite concentrate nelle primissime settimane, è un dato che dimostra come le attenzioni alla vitellaia siano ancora troppo poche. Questo dato si avvicina e quello del vitello di Frisona all’ingrasso per la produzione di carne bianca, ma siamo in presenza di un allevamento da carne, che ha un’altra strada: sei mesi di allevamento e poi la macellazione. Qui invece abbiano l’oro dell’allevamento, il suo futuro.
Dove va collocata la vitellaia?
È importante che la vitellaia sia posta in un luogo adatto.
Non deve essere messa alla fine o all’inizio del capannone e non deve essere troppo vicino agli animali adulti perché altrimenti il passaggio dei patogeni crea grossi problemi.
Cito una ricerca per rendere l’idea: un gruppo infetto è stato messo vicino a un gruppo sentinella, a una vicinanza di quattro metri. Facendo la sieroconversione nel gruppo sentinella, ossia andando a vedere gli anticorpi per questi patogeni (IBR, sinciziale e BVD) si è visto che dopo 15 gg questi animali (ricordo: distanti solamente quattro metri da quelli malati) si sono positivizzati. Ma quando mai i vitelli sono più lontani di quattro metri tra un gruppo e l’altro? Molto raramente. Non solo. Molto spesso il nostro vitello è in fila vicino all’allevamento delle vacche. Ricordo che qualsiasi problema infettivo ci sia nelle vacche (vale soprattutto per la BVD che dà problemi di aborto o creazione di immunotolleranti) comporta anche un passaggio virale nei vitelli, creando viremie transitorie che possono aprire la strada alla forma polmonare.
Quali sono i periodi più critici?
Partiamo dalla fase 0-60 giorni. È il periodo in cui la mortalità è più elevata per tutte le patologie enteriche e respiratorie, ma soprattutto quelle respiratorie Qui è importante ridurre il contatto tra adulto e neonato, la colostratura, l’ambiente.
Va ricordato anche un dato importante: un animale che ha avuto una patologia enterica ha il 50% in più di probabilità di ammalarsi di patologia respiratoria. Un animale cioè che si ammala per un rotavirus o un’Escherichia coli poi sarà, dopo 20 giorni, colpito dalla patologia respiratoria. È un dato di fatto, dimostrato da tantissime pubblicazioni.
Quindi dobbiamo mantenere sano l’intestino direi di default, e lavorare sulla patologia respiratoria.
Abbiamo un altro momento critico, che è il post svezzamento. Questo è il momento dei raggruppamenti, che avvengono tra animali sani, in genere, ma molto probabilmente possono esserci animali che hanno avuto nella loro vita dei danni polmonari che magari non abbiamo visto.
Un altro periodo critico è poi quello che va dai 12 mesi alla lattazione. Il primo parto, per un animale che ha avuto una patologia respiratoria e ha una compromissione del polmone, è sempre critico: quell’animale è a rischio. E quando il veterinario aprirà l’animale morto dirà: “Clostridiosi”. Ma non è solo clostridiosi. Perché se si va a vedere l’apparato polmonare ecco che troviamo delle lesioni molto importanti che hanno impedito una respirazione corretta alla bovina. Ricordo che un animale in deficit respiratorio nel periodo estivo in prima lattazione è un animale molto più soggetto a patologie enteriche, soprattutto clostridiosi.
La ventilazione nella stalla è cosa molto curata, quanto meno nel settore delle vacche. E nella vitellaia?
Ricordo sempre che il bovino è un animale deficitario dal punto di vista respiratorio. E quindi ha una frequenza respiratoria importante, inala di più, con quel che ne consegue: più polveri, più tossine, più microrganismi.
Quindi una buona ventilazione serve a diminuire i patogeni aerogeni che sono nell’ambiente. Ma anche a eliminare i gas nocivi quali ammoniaca. L’ammoniaca va a irritare la mucosa delle coane nasali, creando un habitat perfetto, ad esempio, per la Mannheimia haemolytica e per la Pasteurella multocida che vanno a nozze con un ambiente infiammato e caldo. Si riproducono nelle coane nasali e poi passano a livello polmonare.
La ammoniaca va anche a ridurre l’attività dell’epitelio muco-ciliare. Ecco allora che un adenovirus o un coronavirus, che in un animale in buone condizioni non sarebbero stati in grado di fare danno, in queste condizioni, azzerato anche quel poco di immunità strutturale che hanno proprio le coane nasali, entrano direttamente a livello polmonare e creano i danni.
La polverosità della vitellaia quali pericoli pone?
L’importanza della ventilazione è anche legata alla diminuzione della polverosità e qui dobbiamo considerare la questione del particolato diffuso nell’aria. Ossia particelle di diametro inferiore ai 2,3 micron, le polveri per intenderci. Le polveri sono un’altra causa di danno e di predisposizione alla patologia respiratoria. In genere la polvere non entra a livello polmonare, ma il danno lo fa già a livello di mucosa nasale. E di polveri in stalla ne troviamo molte: nella paglia, nei fieni, anche nell’alimento a volte. E non di rado le operazioni del normale management di stalla producono esse stesso molte polveri.
Un esempio?
Lo spandipaglia dall’alto è un vero pericolo per la sua produzione di polveri, per i vitelli e anche per le vacche. Mi capita di vedere sinusiti nelle vacche, con coane nasali completamente occluse da queste polveri: possiamo immaginare per i vitelli.
Parliamo di correnti d’aria in vitellaia…
La corrente d’aria è una delle maggiori cause predisponenti la patologia respiratoria, nei primi 20 giorni di vita del vitello. Quando viene lasciato nelle gabbiette non protetto da paglia o cappottino, ci sono situazioni di calo della temperatura talmente importante, un continuo raffreddamento delle prime vie respiratorie, che lo predispongono alla patologia respiratoria anche senza l’intervento di grandi patogeni.
Basta poco per creare una corrente d’aria: strappi nei teli, fessurazioni, rotture di pareti. È fondamentale in vitellaia avere e mantenere una temperatura ambientale ottimale così come anche un corretto livello di umidità ambientale. Tuttavia, al contrario della stalla delle vacche, è difficile vedere vitellaie con razionali e moderni impianti di ventilazione.
Perché il post svezzamento è un momento critico per la malattia respiratoria?
È un classico: quando facciamo quei bei gruppi di vitelli provenienti dalle gabbiette, ricominciano a presentarsi le patologie respiratorie. Il problema è che noi andiamo a mettere insieme animali sani con animali malati o precedentemente malati.
Un vitello sano ha 2,8 volte in più la possibilità di incorrere in episodi di patologia respiratoria se messo con vitelli colpiti in precedenza da patologia respiratoria. Importante è quindi che i vitelli che sono stati malati siano messi con altri vitelli similmente colpiti oppure da soli. Perché nelle loro coane nasali albergano microrganismi che prima o poi, soprattutto per contatto naso-naso, arrivano negli altri animali.
Nel bovino da carne lo stress da trasporto lo conosciamo bene, dato che riguarda vitelli che hanno fatto ore e ore di viaggio per arrivare al luogo di ingrasso. Eppure anche nel vitello da latte esiste uno stress da trasporto. Possibile?
Lo stress da trasporto nel bovino da carne si è sempre studiato. Eppure nel vitello, anche il semplice trasferimento da una gabbietta a un box multiplo è uno stress importante. È vero, sono pochi metri a volte. Ma per il vitello questo è un momento di grande stress.
Dr.ssa Schiavon, passiamo dalla stalla al suo laboratorio. Cosa mostra l’attività diagnostica? Chi entra e chi esce nella graduatoria dei patogeni respiratori più rilevati e/o attenzionati?
Alcuni virus si sono ridotti in termini di prevalenza nei nostri animali: ad esempio quelli dell’IBR e della parainfluenza, ma abbiamo ancora presenza di BVD. E nel vitello questo virus favorisce la patologia respiratoria, aprendo la porta agli altri patogeni. Normalmente il 4% dei vitelli fino a due mesi di vita è positivo alla BVD. Ancora, abbiamo il 10% di tamponi nasali positivi per il virus sinciziale. E qui c’è da arrabbiarsi perché su questo abbiamo vaccini efficaci e nonostante questo continuano a morire animali di sinciziale.
Histophilus somni è un altro microrganismo che si sta presentando minaccioso e lo stesso vale per Mycoplasma bovis. Non così importanti come nel vitello a carne bianca, ma cominciano ad essere un dato preoccupante anche per l’allevamento da latte. Il Mycoplasma bovis poi è anche un agente mastidogeno: quindi se c’è in stalla bisogna stare molto attenti a come posizioniamo la nostra vitellaia nei confronti della restante parte dell’allevamento. Ancora, il 40% dei nostri tamponi nasali sono positivi al coronavirus. Direi che è tanto. Non come per il bovino da carne (qui siamo al 60%), ma è tanto. Ad oggi non abbiamo presidi vaccinali e purtroppo il coronavirus apre la porta ad agenti batterici successivi
Infine, altri due patogeni sono attualmente da guardare con grande attenzione: Pasteurella multocida e Mannheimia haemolytica.
È un problema di antibiotico resistenza di questi ceppi. Fa impressione un dato: 10 anni fa la Mannheimia haemolytica era sensibile a tutti gli antibiotici esistenti. Ora la sua resistenza è aumentata enormemente. Ho visto una MIC (cioè la concentrazione più bassa di un antibiotico in grado di inibire la crescita di un determinato ceppo batterio) di una Mannheimia haemolytica che mostrava come fosse resistente a tutte le molecole. E questo in soli 10 anni: dalla sensibilità piena alla resistenza massima.
Si può ritornare indietro da questo fenomeno?
Fortunatamente sì. È quello che si sta facendo in altre tipologie di allevamento. Fondamentalmente non si devono usare sempre le stesse molecole, in modo che il microrganismo torni sensibile. Questo è un lavoro da concordare con il veterinario aziendale e con il laboratorio per fare dei piani efficaci di uscita dalla antibiotico resistenza.