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Bovina, ambiente e agenti patogeni: un sistema complesso da conoscere 

L’intensificazione e l’espansione della produzione di latte e di carne bovina portano inevitabilmente ad un aumento del rischio di diffusione ed esacerbazione delle malattie infettive.

In aggiunta, le nuove linee guida europee sull’utilizzo razionale degli antibiotici impongono nuove strategie che, tutelando la salute dell’uomo e quella animale, possano garantire la qualità delle produzioni.

Ciò indica che è necessaria una migliore comprensione della funzione immunitaria degli animali da reddito per fornire strumenti ottimali per combattere i patogeni esistenti e futuri e migliorare la sicurezza alimentare.

Durante le epidemie, alcuni animali in una popolazione sono più resistenti all’infezione rispetto ad altri.

Gli individui resistenti possono sopravvivere, mentre altri nella popolazione possono morire. Alcuni possono avere segni clinici meno gravi; altri possono superare l’infezione senza manifestare clinicamente la patologia.

L’infezione con un agente patogeno non sempre quindi si traduce in malattia. 

Le malattie infettive sono infatti il risultato delle interazioni tra tre fattori: ospite, ambiente e agenti patogeni (vedi Figura 1). 

Figura 1: Relazioni tra ospite, ambiente e agenti patogeni.

Gli agenti patogeni

I microrganismi patogeni, chiamati anche agenti patogeni, sono agenti biologici responsabili dell’insorgenza della condizione di malattia nell’organismo ospite.

Possono essere virus, batteri o funghi. La trasmissione degli agenti infettivi, all’interno di una popolazione, è influenzata da fattori propri del patogeno sempre in relazione con il soggetto ospite e l’ambiente.

L’infettività misura con quanta facilità un microrganismo è in grado di infettare un animale.

La virulenza misura il potere patogeno di un agente, ossia quanto esso è capace di provocare una malattia e di indurre lesioni nei tessuti colpiti.

Ed infine, la stabilità di un agente patogeno è la sua capacità a sopravvivere per tempi più o meno lunghi al di fuori dell’ospite, influenzata dalle condizioni ambientali. 

L’ambiente

Il prof. Donald Maurice Broom scriveva che la condizione di benessere si realizza quando l’animale si adatta all’ambiente in cui vive. Il benessere animale può quindi essere considerato come il risultato dell’equilibrio tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda.

Esiste una stretta relazione tra i requisiti strutturali/gestionali degli ambienti di allevamento e la maggiore diffusione degli agenti patogeni con conseguente insorgenza delle manifestazioni cliniche in modo più o meno grave.

L’igiene, le caratteristiche delle aree funzionali, il tipo di stabulazione, la qualità della lettiera, l’aerazione, la ventilazione, la qualità ed il sistema d’alimentazione, la routine di mungitura, la manutenzione degli impianti, le cure individuali e la quantità/qualità delle relazioni uomo-animale sono tutti importanti fattori ambientali che influenzano il soggetto.

L’ospite

La risposta immunitaria degli animali verso un agente patogeno è di due tipi: innata ed acquisita. La prima, rapida e non specifica, è rappresentata, oltre che da barriere fisiche come cute e ciglia vibratili, anche da risposte infiammatorie aspecifiche.

La seconda, richiede tempo per svilupparsi ed è altamente specifica per un determinato agente patogeno, è rappresentata dalla risposta anticorpale specifica e da quella cellulare.

Il vitello, sin dalle prime ore di vita, viene a contatto con i microrganismi presenti nell’ambiente. Un corretto approccio gestionale e alimentare, durante le prime settimane di vita, è fondamentale per la maturazione del sistema immunitario del neonato.

La placenta sindesmocoriale della bovina non permette il passaggio di immunoglobuline al feto, di conseguenza il vitello nasce privo di anticorpi protettivi.

Necessaria è quindi la trasmissione delle immunoglobuline materne attraverso il colostro, somministrato durante le prime ore di vita.

Gli animali che non ricevono sufficienti quantità di anticorpi dopo il parto, oltre ad avere una mortalità più elevata, presentano anche tassi di crescita ridotti.

Questo è dovuto ad una maggiore suscettibilità agli agenti patogeni responsabili delle principali malattie neonatali. 

Nei vitelli affetti da patologia enterica si riporta una riduzione del tasso di crescita del 18%; dell’8% per quelli che hanno manifestato forma respiratoria, fino ad arrivare ad una riduzione del 29% per quelli che hanno presentato entrambe le patologie.

Queste problematiche sanitarie e di accrescimento portano a una maggiore morbilità e mortalità pre-svezzamento, aumentata età al primo parto, minore produzione di latte soprattutto durante la prima lattazione, peggioramento della fertilità e conseguente aumento del tasso di riforma: il 9 – 17% delle manze che raggiungono il primo parto non terminano la prima lattazione.

Tutto questo si traduce in una forte riduzione della redditività che coinvolge l’intera azienda.

L’immunità di gregge

Al fine di prevenire la comparsa di focolai in azienda, spesso ci si chiede quali siano gli animali da sottoporre a profilassi vaccinale.

Tutta la mandria o solo parte di essa?

La risposta è fornita dagli studi di epidemiologia, con particolare riferimento a quelli inerenti alla medicina di popolazione.

L‘immunità di gregge descrive lo stato immunologico collettivo di una popolazione ospite nei confronti di un microrganismo specifico.

Questo è un concetto importante della teoria epidemica che riguarda l’effetto e l’incidenza, a livello di mandria, dell’immunità dei singoli animali, necessaria per prevenire la trasmissione degli agenti patogeni.

L’immunità di gregge esiste quando un numero sufficiente di animali in un gruppo, o in un’intera mandria, presenta un’immunità nei confronti di un microrganismo tale che un focolaio non si manifesta quando l’agente è introdotto in allevamento da un individuo infetto, perché la probabilità di un contatto effettivo tra individui clinicamente malati e suscettibili viene ridotta. 

Non sono quindi le malattie ad essere trasmesse, ma lo sono gli agenti patogeni.

L’infezione si riferisce infatti all’invasione e alla replicazione di un microrganismo in un soggetto ospite. L’infezione non sempre conduce a malattia con sintomatologia clinica.

Questo dipende dalla risposta conseguente all’interazione tra animale, ambiente e patogeno.

Maggiore è il numero di animali immunizzati e protetti, in un ambiente che garantisce il raggiungimento di alti standard di benessere, minore è il rischio di insorgenza di forme cliniche gravi nei soggetti suscettibili.

La vaccinazione non solo attiva la risposta immunitaria nei confronti di un determinato virus o batterio, ma ne riduce anche la diffusione nell’ambiente.

Gli animali immunizzati, in caso di infezione, sviluppano malattia lieve od assente. Una minore escrezione del patogeno promuove il controllo delle nuove infezioni e, non meno importante, una riduzione dell’utilizzo degli antimicrobici in azienda.

Una necessità irrinunciabile per chi fa latte da Parmigiano Reggiano

Occorre un maggiore impegno per comprendere meglio l’epidemiologia, la comparsa, la prevalenza e il costo delle malattie infettive in allevamento, per migliorarne l’individuazione precoce, nonché per meglio comprendere le sfide legate alla resistenza antimicrobica nei settori della zootecnia e della produzione di alimenti di origine animale.

Il management aziendale, la corretta gestione del colostro (in termini di igiene, qualità, quantità, tempistiche di somministrazione) e le buone pratiche vaccinali nella mandria impattano in modo significativo sul complesso sistema bovina-ambiente-agenti patogeni e permettono di innalzare gli standard sanitari dell’allevamento, premessa indispensabile per una produzione a minimo utilizzo di antibiotici.

È questo l’obiettivo di ogni allevamento, ma una necessità irrinunciabile già da ora per chi fa latte per Parmigiano Reggiano.

Di Manuel Belotti

Medico veterinario – Specialista in Alimentazione Animale