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Le preoccupazioni del consumatore entrano nella stalla

Concludiamo la chiacchierata con Paolo Sassi, veterinario buiatra e allevatore, che abbiamo avuto modo di conoscere nelle precedenti due parti di questa intervista (clicca qui e qui) . Tratteremo qui, più nel dettaglio, la questione del vitello e della possibilità di lasciarlo più tempo con la madre e dell’utilità – e fattibilità – di un’area di pascolo funzionale

Paolo Sassi, vediamo ora qualche aspetto pratico legato alle preoccupazioni del consumatore: in primis il vitello separato dalla madre dopo il parto. A tuo avviso c’è la possibilità di lasciare il vitello con la madre per un tempo significativo?

Questa è una questione che sto ponendomi da veterinario, ma anche da allevatore. Nella mia stalla da qualche tempo ho cominciato a lasciare il vitello neonato per un paio di giorni di fronte alla vacca, in una gabbietta. È una normale gabbietta singola, con le ruote, che si può spostare dove si vuole. Il vitello resta nella sala parto il tempo necessario per far fare alla madre le classiche operazioni di asciugatura, il piccolo grooming di questi momenti. Poi il vitellino è messo in questa gabbietta e viene lasciato davanti alla rastrelliera del box parto per due di giorni, così da essere di fronte alla madre. In questo modo la vacca ha possibilità di instaurare un contatto con il vitello. La vacca viene munta in sala parto e il vitello viene colostrato artificialmente. Non si nutre mai dalla mammella della vacca.

Dopo due giorni il vitello viene spostato in gabbietta insieme agli altri e segue la normale trafila. Effettivamente vedo che la vacca cerca il vitellino, ma ad oggi non ho riscontrato né vantaggi né svantaggi e non ho ancora dei dati per dire se questa cosa abbia un riscontro positivo sulla vacca, ad esempio nel post parto, o sul vitello. Però è pratico, di pochissima spesa e sicuramente non crea danni.

Lasciare il vitello più tempo nel box con la madre potrebbe essere una via praticabile?

Non so, vedo varie difficoltà. Anche qui dipende dalle strutture che si hanno a disposizione. Servono delle sale parto ben attrezzate: se devi fare quattro mungiture colostrali per un paio di giorni è una cosa fattibile, ma se devi farlo per una settimana è un altro discorso, un po’ più impegnativo. C’è poi l’aspetto della mungibilità delle vacche dopo che si è avuta la suzione da parte del vitello per alcuni giorni: in alcune razze rustiche, come le reggiane, diventerebbe difficile. In generale più la vacca rimane in contatto col vitello in maniera stretta e più le operazioni successive di mungitura diventano complicate, per quel che riguarda l’eiezione del latte, se non c’è il contatto con il vitello. Detto ciò, sicuramente questa è un’area da esplorare. Indubbiamente poter lasciare il vitello con la madre nei primissimi giorni di vita ci darebbe un grosso aiuto nell’appeal dell’allevamento verso il consumatore.

Nella gestione “tradizionale” del vitello invece cosa si può ancora migliorare?

Direi la colostratura, che rimane uno degli aspetti sul quale in teoria tutti concordano su come vada fatta, sul perché è essenziale, ma poi nella realtà si nota tanta difformità rispetto alle buone prassi. Colostrare il vitello entro sei ore dalla nascita con un colostro di buona qualità: siamo tutti d’accordo. Ma poi una traduzione pratica attenta e sistematica di questa regola non è così automatica. Prendiamo la misurazione del colostro per valutarne la qualità. Magari la si fa ogni tanto, poi si dimentica, poi la riprende e si lascia passare del tempo. Sono stato di recente in un allevamento dove c’erano grossi problemi di mortalità dei vitelli. Controllando tutti i colostri presenti nella banca del colostro aziendale si è visto che erano tutti – tutti – di scarsa o cattiva qualità. Eppure basta pochissimo: un rifrattometro, una goccia di latte.

È però una manovra che pur costando pochissimo e richiedendo pochissimo tempo non viene fatta in tante stalle. Si fa poi quando il problema è esploso, ma non routinariamente. Tornando all’azienda di prima: tutti i colostri nel freezer erano di qualità scarsa, se non addirittura pessima. Si partiva quindi già con una situazione problematica che avrebbe creato problemi in futuro, come in effetti è stato.

È la conoscenza di una situazione frutto di una routine precedente che ti permette di precedere il problema e non doverlo rincorrere.

E sull’inserimento di un’area di pascolo funzionale cosa ne pensi?

Anche questo è un argomento estremamente importante e molto spesso ci sono obiezioni un po’ a priori. Si liquida la questione dicendo che è una cosa non fattibile per il territorio, per la conformazione, per le strutture. Secondo me è un intervento che si può fare, sia per le asciutte che per le vacche in produzione, con bassissimi costi. Non c’è bisogno di fare grandi cose, bastano dei paddock delimitati da fili elettrici, magari con qualche filo metallico di sicurezza rinforzo. Costi contenuti, risultati notevoli sul benessere animale. Si deve curare l’inerbimento e trovare soluzioni che permettano di avere una superficie verde costantemente. Chiaramente parliamo di un’area di esercizio, dove la vacca può recuperare funzionalità, movimento e quindi benessere, senza un significato nutrizionale o comunque estremamente limitato. Anche la ripercussione sull’immagine della stalla sarebbe vincente. Su questo credo che si debba raggruppare le esperienze e raccogliere dati, perché per ora si viaggia un po’ in ordine sparso. 

In apertura di chiacchierata parlavi di andare oltre certi schemi rigidi, valutare nuove vie gestionali. Per chiudere tornando su questo argomento: c’è a tuo avviso un denominatore comune tra chi, nel mondo dell’allevamento, è più attento a queste nuove opportunità?

Credo di sì. Chi si sta muovendo un po’ fuori dagli schemi è mosso soprattutto da quella che direi una questione di filosofia dell’allevamento, che viene prima di questo o quell’aspetto gestionale. Lo fa per recuperare aspetti etologici tipici della specie all’interno dell’allevamento moderno. Molto spesso la capacità di uscire dagli schemi consolidati, dei protocolli intoccabili è più facile da riscontrare in persone che arrivano all’allevamento senza una tradizione familiare. Credo che questo aiuti ad essere più elastici, liberi da consuetudini e abitudini ritenute intoccabili, spesso anche dagli addetti ai lavori, non ultimi gli stessi veterinari. E qui allargo il discorso anche agli aspetti legati alla cura delle bovine, come l’agopuntura, la fitoterapia, l’omeopatia. Gli addetti ai lavori quasi sempre scoraggiano chi vuole prendere una strada del genere. Non intendo certo presentarli come un’alternativa all’approccio tradizionale, ma comunque la possibilità che questi due metodi possano convivere, riducendo il peso dell’approccio tramite il farmaco, penso sia possibile e utile.

Per la stalla e anche per l’immagine dell’allevamento.