Matteo Grassi è un giovane veterinario buiatra che lavora come libero professionista nelle province di Parma e Reggio Emilia. Taglierà il prossimo anno il traguardo dei primi dieci anni di professione, iniziata immediatamente dopo la laurea. Ora segue 35 stalle, tutte rigorosamente produttrici di latte per Parmigiano Reggiano.
E del mondo del Parmigiano Reggiano Matteo Grassi si considera un attore a pieno titolo e di questo mondo sottolinea la sua unicità, in grado di creare e distribuire valore a tutta la filiera. Un valore che è compito di tutti, anche tecnici e allevatori quindi, preservare e custodire.
“Chi alleva animali per produrre latte da Parmigiano Reggiano è come se tra le mani avesse oro, non latte”, scherza, ma non troppo, per sottolineare come si debba essere consapevoli di una realtà che non ha eguali nell’allevamento da latte.
“Noi del Parmigiano Reggiano, indiscutibilmente, siamo privilegiati. Altrove i margini di guadagno sono molto più risicati, sicuramente più bassi dei nostri. Certo, al momento la situazione vede il prezzo in calo, ma comunque è sempre un prezzo molto più alto di chi fa latte per altre trasformazioni casearie o latte alimentare”.
L’unicità del Parmigiano Reggiano ha bisogno dell’impegno di tutti
Questo punto di vista è interessante, perché sottintende che l’unicità del Parmigiano Reggiano ha bisogno dell’impegno di tutti, si difende lavorando bene, anzi, meglio giorno per giorno.
Lavorando su benessere animale o sulla riduzione dei farmaci, di cui parleremo, ma soprattutto cercando di avere aziende produttive che facciano reddito e permettano all’allevatore di continuare ad essere presente sul territorio.
C’è un passaggio, a questo proposito, che il dr. Grassi mette in rilievo come una necessità non più rinviabile: “Dobbiamo crescere nelle nostre stalle nell’analisi dei dati. Parlo dell’analisi tecnico-economica, di bilancio aziendale fatto in maniera precisa, di conoscenza di ogni centro di costo.
Al momento sono veramente poche, se non pochissime, le aziende che fanno il bilancio e spesso solo ‘perché va fatto’, senza considerarlo uno strumento importante di miglioramento, per analizzare punti di forza e di debolezza dell’azienda. Con l’assottigliarsi dei margini di guadagno questa diventa una esigenza prioritaria”.
“Se non fai un’analisi completa dei tuoi dati, delle tue performance tecniche correlate ai dati economici dell’azienda – continua Matteo Grassi – come puoi conoscere dove è più necessario investire e migliorare? Se non misuri una cosa, non potrai nemmeno migliorarla, farai le tue scelte e anche i tuoi investimenti un po’ col cuore e un po’ con la pancia. E non è detto che la scelta fatta, l’investimento scelto, sia proprio ciò che serve maggiormente. Questa è un’urgenza, anche da noi, se si vuole sopravvivere. Anzi, mi correggo: se si vuole guadagnare, perché l’obiettivo non deve essere quello di sopravvivere: a sopravvivere, bene o male, con una stalla da Parmigiano Reggiano, riescono tutti. L’obiettivo è quello di fare reddito. Se uno vuole fare reddito deve assolutamente analizzare i dati e partire da questi per tutte le sue decisioni. Questo è soprattutto un cambiamento culturale, di attitudine; non ha costi, non richiede spese, è alla portata di tutti”.
Tre caposaldi da cui dipende tutto
L’analisi dei dati è dunque fondamentale e per Matteo Grassi rientra nei tre caposaldi da cui dipende tutto: l’analisi dei dati, appunto; il benessere animale, inteso come spazi, strutture, controllo microclimatico, rapporto con gli animali, routine di mungitura; e l’alimentazione, che significa soprattutto alimenti sani e di qualità.
Vale questo soprattutto per i foraggi che si producono in azienda e su questo il dr. Grassi ha una certezza: “L’essiccatoio è una attrezzatura fondamentale per fare un foraggio di qualità. Con le condizioni meteorologiche che abbiamo e con le necessità alimentari che hanno i nostri animali, dobbiamo dare un foraggio che sia sempre al top e per avere un foraggio al top si deve per forza avere un essiccatoio. Quando un animale mangia un foraggio sano, che non ha muffe, non ha terra, non ha infestanti questo si ripercuote sul suo benessere e quindi l’animale produce di più, viene in calore più velocemente, si riproduce meglio, è più sano e servono meno farmaci”.
Asciutta selettiva, ma non solo
Con Matteo Grassi parliamo anche di asciutta selettiva, tema di grande attualità per il suo collegamento con la necessità di ridurre l’uso di antibiotici in stalla. e proprio a partire da quest’ultimo punto ecco una premessa interessante: “Torniamo al discorso di apertura. Più che considerare un singolo aspetto della gestione e di come si può lavorare per migliorarlo, è importante la visione complessiva, che si appoggia sempre sulle tre colonne viste prima. Se in un’azienda si lavora bene su queste tre direttrici il resto verrà di conseguenza: le produzioni, la fertilità, la sanità degli animali, la durata in stalla delle bovine.
E anche il consumo di antibiotici sarà basso.
Vedo invece un rischio nel separare qualche aspetto particolare, ad esempio la messa in asciutta, e considerarla a sé stante, come se non fosse inserita in un quadro generale. Detto questo è chiaro che l’asciutta selettiva è un obbligo e va rispettato.
È una pratica che seguivamo già da qualche anno nelle aziende in cui era possibile farla: buona gestione, criteri igienico sanitari ben definiti, spazi adeguati per le asciutte, routine di mungitura corretta. Purtroppo, ci sono anche situazioni dove questo manca e l’asciutta selettiva diventa complicata da inserire. Va perciò ragionata e studiata attentamente per non peggiorare le cose in termini di consumo di antibiotici nella stalla. Però ripeto: questo è un discorso che va preso a monte, che deve considerare tutta l’azienda.
Non si può pensare di lavorare solo su pezzi di attività senza avere impostato un programma più generale. Vorrebbe dire continuamente rincorrere i problemi”.
La riduzione degli antibiotici passa anche dalla formazione del personale
Qui introduciamo un altro punto critico: il miglioramento della gestione passa dalla corretta esecuzione di tante operazioni, cosa che tira in ballo la manodopera a disposizione e la difficoltà per chi, come Matteo Grassi, deve dare indicazioni, protocolli di lavoro, migliorie da apportare, avendo la sicurezza che diventino realmente prassi operative.
Anche da qui, dalla formazione del personale e dal suo affiancamento passa la riduzione del consumo di antibiotici.
Spiega: “La difficoltà di tutto questo è legata alla situazione tipica delle aziende, che hanno personale spesso poco qualificato e di provenienze diverse, dove tante volte l’ostacolo è semplicemente quello della lingua e del farsi capire. Da non sottovalutare anche la diversa sensibilità su temi chiave, ad esempio l’igiene, in base alle provenienze degli addetti.
In questa situazione far passare dei messaggi pratici di comportamento, ad esempio in mungitura o con i vitelli o in altri ambiti della stalla è una difficoltà concreta. Questa è una sfida per chi fa assistenza tecnica nelle aziende oggi, direi una delle maggiori difficoltà per noi in questo momento.
L’unica via per ovviare a questo problema per l’allevatore è seguire il proprio dipendente per un po’ di tempo nello svolgimento di ciò che gli si è spiegato, dall’inizio alla fine, affiancandolo finché non si sia certi che le cose sono fatte nella maniera voluta. Certo, è una cosa che richiede tempo, ma è l’unica possibile.”