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Colostro di buona qualità? Attenzione anche alla sua carica microbica, non solo agli anticorpi

Di Marcello Guadagnini

International Technical Manager, Axiota Animal Health

La gestione del colostro è l’elemento più determinante per la salute e la sopravvivenza dei vitelli nelle prime fasi di vita (Godden, 2019). Il colostro è il mezzo attraverso il quale avviene il trasferimento dell’immunità passiva dalla madre al vitello.

Nel bovino, infatti, a causa della conformazione della placenta, non esiste alcun passaggio di immunità dalla madre al vitello per via transplacentare, ma questo passaggio è delegato all’assunzione del colostro da parte del vitello.

Per questo motivo, negli ultimi decenni ci si è concentrati sempre di più sul contenuto di immunoglobuline o anticorpi nel colostro.

Diversi fattori contribuiscono ad avere un colostro di buona qualità sotto il profilo della quantità di anticorpi: la nutrizione della madre durante il periodo di asciutta, la sua sanità e l’immunizzazione della stessa con vaccini specifici.

Esiste, infatti, una correlazione diretta fra la quantità di immunoglobuline del colostro e la creazione di una buona immunità passiva nel vitello.

Tanta è l’importanza di questo parametro che alcuni metodi indiretti di misurazione delle concentrazioni immunoglobuline, come i gradi Brix rilevati tramite rifrattometro, sono comunemente impiegati per il monitoraggio della qualità del colostro, scartando o integrando con prodotti liofilizzati i colostri di scarsa qualità.

Non sottovalutare l’aspetto igienico

Quando si parla di qualità, è fondamentale non sottovalutare l’aspetto igienico, ovvero la qualità microbiologica del colostro.

In prima istanza perché se il colostro viene contaminato con batteri potenzialmente patogeni (es. coliformi) capaci di generare diarrea questo può rappresentare un grande fattore di rischio per l’insorgenza di diarree neonatali e setticemie.

Inoltre, la contaminazione del colostro riduce l’assorbimento delle immunoglobuline, giacché i batteri vanno ad occupare fisicamente i siti presenti nel lume intestinale che consentono il passaggio delle immunoglobuline dall’intestino al sangue.

Pertanto, grande attenzione deve essere posta nelle prassi igieniche di raccolta, conservazione e somministrazione del colostro, facendo eventuale ricorso a tecniche che permettano la riduzione della carica microbica, senza, però, intaccarne il contenuto anticorpale.

La qualità microbiologica del colostro

A questo proposito, sono stati recentemente presentati due studi italiani riguardanti la qualità microbiologica del colostro e l’impatto della pastorizzazione sullo stesso.

Entrambi gli studi hanno visto la collaborazione di veterinari liberi professionisti (Gruppo Veterinario Armigio) con veterinari dell’industria della sanità animale e il supporto dell’Università degli Studi di Perugia.

Il primo studio dal titolo “Valutazione della quantità e della qualità del colostro in aziende italiane di bovine da latte” è stato presentato al Congresso Mondiale di Buiatria (Guadagnini et al., 2024).

Questo studio si prefiggeva come obiettivo quello di effettuare una piccola indagine microbiologica sulla qualità e quantità di colostro. Per questo sono stati presi in esame 112 campioni di colostro provenienti da nove allevamenti di bovine da latte del Nord Italia. Per colostro si intendeva solamente quello proveniente dalla prima mungitura ed i campioni sono stati prelevati immediatamente prima della somministrazione al vitello. Per ciascun campione è stata registrata: l’identificazione della madre, il suo ordine di parto, il trattamento effettuato alla messa in asciutta, la durata del periodo di asciutta, il tempo fra il parto e la mungitura del colostro e le modalità di conservazione del colostro (fresco, refrigerato, congelato). Ogni campione è stato sottoposto a valutazione dei gradi Brix, conta microbica totale (TBC) e conta totale dei coliformi (TCC). Le bovine dalle quali è stato prelevato il colostro erano 37 primipare, 29 secondipare e 46 bovine con tre o più parti. Il colostro è stato somministrato a 82 vitelle e 30 maschi.

Conte di TBC e TCC elevate (in totale 42% e 40% rispettivamente) erano presenti in modo eterogeneo fra le diverse aziende e non erano necessariamente presenti entrambe nello stesso momento. Infatti, la correlazione fra questi due valori è significativa, ma debole.

Da questo lavoro è emerso come una quota di bovine produca una quantità di colostro insufficiente. Inoltre, anche a fronte di buoni valori di rifrattometria (Brix), una percentuale elevata di colostri non soddisfa gli standard igienici, presentando una carica batterica elevata.

L’effetto (positivo) della pastorizzazione

Un quadro simile, caratterizzato dalla presenza elevata di diarree neonatali, è stato rilevato nel secondo studio (“Gestione della qualità microbiologica del colostro e trasferimento dell’immunità passiva in un’azienda di bovine da latte nel Nord ItaliaCarra et al.,2024), svoltosi presso una singola azienda del Nord Italia, nella quale sono stati esaminati i colostri prodotti da 79 bovine di razza Frisona. In questo caso però, si è cercato di capire come si potesse mitigare gli effetti della contaminazione batterica attraverso la pastorizzazione del colostro. A tale scopo sono stati misurati i gradi Brix del colostro, la carica batterica totale e la conta de coliformi. In maniera casuale, poi, 39 degli 80 campioni di colostro sono stati selezionati per essere sottoposti a pastorizzazione (60 minuti a 60 °C). I precedenti parametri sono stati nuovamente misurati dopo la pastorizzazione.

I valori di Brix inziali del colostro erano di 27,9±3,1 gradi. Questi valori sono calati in media di 0,25 Brix a seguito della pastorizzazione con un calo massimo di 1,4 punti. Pertanto, la pastorizzazione ha avuto un impatto quasi insignificante sul contenuto di immunoglobuline del colostro. Rispettivamente l’85% ed il 71% dei colostri aveva carica batterica totale elevata o conta dei coliformi elevata. Nei colostri sottoposti a pastorizzazione questi valori sono passati al 2,6% ed allo 0%.

Una volta somministrati questi colostri ad altrettanti vitelli della medesima azienda, non sono state riscontrate differenze nel trasferimento dell’immunità passiva, misurata attraverso la quantificazione delle proteine sieriche totali nei vitelli.

Tuttavia, i vitelli ai quali era stato somministrato colostro pastorizzato avevano un’incidenza di diarrea nei primi 21 giorni di vita significativamente inferiore rispetto a quelli che avevano assunto colostro non pastorizzato (15% vs 62,5%). Anche la mortalità nel medesimo lasso di tempo era numericamente inferiore per i vitelli che avevano ricevuto colostro pastorizzato (2,5 vs 5%)

Serve maggiore attenzione alla qualità microbiologica del colostro

Alla luce di questi due studi possiamo affermare che maggiore attenzione deve essere posta nella valutazione della qualità microbiologica del colostro, poiché sembra essere una problematica rilevante.

Ove venisse riscontrata una problematica con cariche batteriche del colostro elevate è doveroso rivedere le procedure di prelievo e stoccaggio. Inoltre, è opportuno considerare la pastorizzazione come un’opzione per migliorare la salubrità del colostro e ridurre le diarree neonatali, senza inficiare il contenuto di immunoglobuline dello stesso.

Infine, sarebbe opportuno prevedere dei piani di monitoraggio costante per ogni singola azienda, un’educazione continua sulla gestione delle vacche in asciutta e sulle buone pratiche igieniche per la manipolazione del colostro per allevatori ed i loro dipendenti.

👉🏻 Anche il colostro deve essere da Parmigiano Reggiano

Non sempre la gestione del la fase colostrale in azienda è fatta al meglio e, a rendere più complicato il risultato sulla salute dei vitelli, non sempre i colostri sono di qualità adeguata. In termini di contenuto in anticorpi, ma anche per la loro componente microbiologica. Su entrambi i versanti si può migliorare e farlo è la via più efficace per avere vitelli sani, con un effetto sanitario e produttivo – che si allunga su tutta la carriera della bovina. La riduzione del consumo aziendale di antibiotici e il maggior benessere degli animali, priorità per chi fa latte da Parmigiano Reggiano, passano anche da qui.