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L’asticella per chi fa latte da Parmigiano Reggiano è un po’ più in alto

Intervista a Mauro Marmiroli, veterinario buiatra e divulgatore.

Benessere animale, consumo di farmaci, biosicurezza: per chi fa latte da Parmigiano Reggiano c’è ancora del lavoro da fare, ma negli ultimi anni di strada in avanti se ne è fatta e qualche risultato lo si può già vedere.

Nelle stalle migliori, ovviamente, quelle di coloro che per primi colgono l’importanza di un cambiamento in corso e vi si adeguano con prontezza. Una minoranza, certo, ma importante, perché fa da punto di riferimento, da battistrada, per tutti gli altri, per il gruppo che insegue. Mostrando che migliorare il benessere animale, ridurre il consumo di farmaci, aumentare la biosicurezza, e rivedere i protocolli gestionali alla luce di questi obiettivi, si dimostra sempre un buon affare: più produzione, più fertilità meno costi, più qualità del latte. E, ora più importante che mai, più sostenibilità dell’allevamento: economica, ambientale e sociale.

A dire questo è un noto veterinario buiatra, il dott. Mauro Marmiroli. Noto sicuramente nell’area del Parmigiano Reggiano, dove da una ventina d’anni svolge la sua professione, ma anche al di fuori, diciamo pure in tutta Italia, isole comprese. Questo perché Mauro Marmiroli è anche un ottimo divulgatore tecnico e il suo canale YouTube è, ormai da anni, un punto di riferimento per spunti, consigli e video formativi in materia di zootecnia da latte.

Partiamo proprio da qui. Come è nata l’idea di proporti come divulgatore?

La cosa è nata un po’ per caso, ormai vari anni fa, per sfruttare le nuove opportunità di formazione e assistenza offerte dalla multimedialità. Col tempo la cosa è diventata una parte significativa del mio lavoro, con video formativi nei quali affronto un po’ tutte le problematiche della stalla, dando suggerimenti, rispondendo a quesiti che mi vengono posti. L’accoglienza è stata molto buona, anche al di là della mia area geografica di lavoro. E anche da parte di altri colleghi buiatri di varie parti d’Italia, che mi ringraziavano per avere dato supporto a indicazioni e suggerimenti che loro stessi davano da tempo ai loro clienti. Il vantaggio di questa modalità di approccio è legato non solo ai contenuti, ma anche al tempo di contatto con l’allevatore. Potendo andare a vedersi i miei video quando vuole, lo fa quando ha più tempo per ascoltare ed è più “recettivo”. Durante la giornata di lavoro il tempo è sempre poco, le cose da fare tante e l’attenzione inevitabilmente ridotta.

Certo il Mauro Marmiroli divulgatore è noto e apprezzato, ma soprattutto c’è e rimane il buiatra, pedina chiave per indirizzare il miglioramento nelle stalle. A questo proposito puoi illustrare il percorso fatto nelle aziende, guardando ai tuoi anni di lavoro, sui temi chiave di oggi?

Se guardiamo a vent’anni fa, quando ho iniziato, di benessere animale se ne parlava ben poco, di tutto il resto ancora meno. I primi passi importanti in tal senso sono stati fatti con i primi PSR dedicati al benessere animale. Nel 2010 ricordo la misura 215 del PSR dell’Emilia Romagna che finanziava coloro che volontariamente aderivano a piani di miglioramento del benessere animale. Qualcuno partì allora, con particolare focus sui sistemi di ventilazione e raffrescamento. La maggior parte era frenata da questioni finanziarie. Tuttavia i miglioramenti immediati che si sono visti e misurati nelle stalle che per prime erano partite, in materia di produzione e riproduzione, specialmente estive, miglioramento sanitario, riduzione della spesa per i farmaci, erano così importanti che, una volta migliorata la disponibilità finanziaria, molte stalle hanno messo mano al discorso della ventilazione, con un netto miglioramento generale. Da qui il percorso è continuato, spinto anche dalle iniziative del Consorzio, dai bandi pubblici, dal trasferimento di know-how di tutti coloro che frequentano le stalle per ragioni di lavoro e che portano esperienze e dati delle aziende più avanti in questo percorso virtuoso. In questi anni accanto al benessere animale si è sempre più affiancato il tema del consumo dei farmaci e in particolare della riduzione degli antibiotici, cosa che ha portato di conseguenza una maggiore attenzione ai piani vaccinali corretti, alla biosicurezza, alla revisione dei protocolli di lavoro. Anche su questi versanti l’azione delle aziende più pronte è stata importante, indicando modalità e, soprattutto, risultati. Dimostrando che lavorare su questi punti era ed è interesse dell’azienda molto più che mero rispetto di una norma.

Il caso dell’asciutta selettiva è emblematico…

Ci siamo arrivati – parlo per la stragrande maggioranza delle aziende che seguo – con largo anticipo sull’obbligo, analizzando le stalle, cercando i punti deboli, verificando strutture e prassi. In questo c’è stato un buon lavoro di squadra tra buiatri, servizi veterinari, organizzazioni, Consorzio: tutti insieme abbiamo portato avanti un buon lavoro di informazione e formazione che si è dimostrato utile ed efficace nel fare comprendere nelle stalle l’utilità di questo passaggio gestionale.

Ridurre gli antibiotici significa anche fare a meno dei CIA, le molecole di ultima generazione. Che riflessi ha avuto questo nelle stalle?

Certamente è venuto meno uno strumento efficace e a cui ci si era un po’ tutti abituati: veterinari e allevatori. Si “spegneva” l’incendio, senza preoccuparsi troppo di cercarne le cause. E questo ha spostato e sposta l’asse dell’attenzione a monte del problema. Tornare alle vecchie penicilline e cefalosporine non è stato tanto un problema in termini di efficacia terapeutica. Anzi. Il fatto che per tanto tempo non fossero state utilizzate ha dato loro una “forza” rinnovata verso i patogeni. Tuttavia la questione del latte di scarto è diventata di nuovo centrale. Se in passato si potevano usare principi attivi a tempo di sospensione “zero giorni”, il costo per soluzione del problema – una mastite o un problema podale, ad esempio – era quello della terapia. Ora al costo della terapia si somma quello del latte di scarto. Per dare dei numeri: 60 euro di terapia nel primo scenario; 40 euro di terapia + 300 euro di mancato ricavo per il latte di scarto, nel secondo. A parità di risultato, ossia la guarigione. Ebbene, questo ha aperto gli occhi a molti sulla opportunità – come dicevo prima – di cercare le cause dell’incendio, e rimuoverle, piuttosto che limitarsi a spegnerlo quando si presenta. Quindi piani vaccinali, benessere animale, spazi, lettiere, igiene e biosicurezza, vasche per bagni podali, pareggi, maggiore attenzione alla vitellaia in termini di ventilazione e igiene, rivisitazione dei protocolli.

Del resto questo è un percorso obbligato per tutte le stalle, ancora di più per quelle – come le stalle da Parmigiano Reggiano – dove l’asticella degli obiettivi è un po’ più in alto rispetto alle altre stalle. Ma, come accennavi, l’attività di ogni giorno mostra come un passo avanti in questa direzione porti già con sé una ricompensa immediata nei risultati della stalla. Sei d’accordo?

Sono d’accordo e penso sia ben chiaro per il Parmigiano Reggiano a quale altezza debba essere l’asticella per avere un prodotto adeguato alle necessità del consumatore di oggi e di domani. Le strade da percorrere sono chiaramente delineate: benessere animale, basso consumo di antibiotici, biosicurezza. La consapevolezza che questo è necessario c’è. Ora si tratta di lavorare sulle stalle per aumentare il più possibile il numero di quelle in grado di raggiungere questi obiettivi. Di superare l’asticella, per quanto un po’ più alta.

Mauro Marmiroli.