Le regole di alimentazione delle bovine che producono latte per il Parmigiano Reggiano sono sempre state considerate fondamentali per garantire la qualità e la tipicità di questo formaggio.
Già nel regolamento del 1973 si affermava che il Parmigiano Reggiano si produceva a partire dall’uso di foraggi locali ed era esplicitamente vietato l’uso di alimenti fermentati, insilati e di numerose materie prime che a diverso titolo potevano influenzare negativamente le caratteristiche compositive e sensoriali del formaggio.
Nel 1989 si riconobbe l’essenzialità dell’impiego di foraggi essiccati e si pose un limite all’impiego dei mangimi: tali norme possono essere considerate ancora valide nella logica di preservare la tipicità, la salute delle bovine e mantenere il legame con il territorio. Sempre in quel documento si affermò la necessità di vietare la grassatura delle razioni per non alterare la funzionalità del microbiota ruminale e evitare di modificare le caratteristiche della frazione lipidica del formaggio.
Pochi anni dopo, nel 1993, venne istituito l’Albo dei Mangimisti, un accordo su base volontaria che costituiva un’iniziativa davvero innovativa per i tempi e si poneva l’obiettivo di salvaguardare la qualità e la salubrità del formaggio attraverso il coinvolgimento di più tratti della filiera; la convenzione che lo regolava, oltre a prevedere il la conoscenza e il rispetto del regolamento nella formulazione, riportando in cartellino le materie prime incluse in ordine decrescente, imponeva infatti di mantenere le aflatossine nei mangimi ad un livello inferiore del 40% rispetto ai limiti di legge.
In pochi anni gran parte delle principali aziende mangimistiche operanti nel comparto aderirono all’Albo che nel 2013 venne denominato Albo dei Fornitori di Foraggi e Mangimi.