Intervista a Carlo Rusconi, Responsabile del Servizio Veterinario dell’ATS Valpadana.
Sono tempi di cambiamento e di definizione di nuovi equilibri e nuove prassi operative per l’allevamento. Le chiede il consumatore, lo chiedono le circostanze economiche e sociali, lo chiedono, soprattutto, emergenze reali, come le resistenze microbiche agli antibiotici. Mai come ora emerge con chiarezza però come non sia possibile considerare i vari aspetti singolarmente, ma tutto vada affrontato in un’ottica complessiva. Vale per gli aspetti ambientali, per quelli ambientali, per quelli sanitari.
E proprio il tema cruciale della salute umana ha nel suo collegamento con la salute animale e con le prassi di allevamento un link sempre più evidente e dimostrato, e definito nell’ottica One Health. Quello che si fa nelle stalle, cioè, va visto e considerato non solo per la sua valenza produttiva, ma anche per la sua influenza sulla salute umana. Per questo si chiede agli allevatori di limitare il consumo di antibiotici, di avere più benessere animale per ridurre i problemi sanitari, di essere sempre più efficaci in termini di igiene e di corrette prassi di allevamento. Tutto ciò, ovviamente, mette in prima fila non solo gli allevatori, ma anche coloro che, in quanto veterinari pubblici, sono chiamati a verificare che quanto definito e codificato dalla normativa sia messo in atto. A volte con la sanzione, ma molto più spesso con la divulgazione, il consiglio, l’accompagnamento. Possiamo sintetizzare così il pensiero del dottor Carlo Rusconi, Responsabile del servizio veterinario dell’ATS Valpadana, che, con le due province di Mantova e Cremona, controlla una tra le aree a maggiore densità zootecnica in Italia: circa un milione di bovini da latte in circa 2000 allevamenti (considerando anche quelli dove si allevano solo manze e rimonta). A questi si aggiungono due milioni circa di suini, con un migliaio di allevamenti.
Dottor Rusconi, con questi numeri il suo punto di osservazione è senz’altro significativo non solo della realtà cremonese e mantovana, ma di tutta la zootecnia italiana. Partirei proprio dalla “cornice” che comprende tutto quanto: l’approccio One Health. È davvero una cosa così importante, al punto da entrare in allevamento e imporre cambi a comportamento consolidati, come è il caso dell’asciutta selettiva?
Direi che è fondamentale. È sempre più chiaro come si debba parlare di sanità comprendendo sia quella umana che quella animale, come un tutt’uno, perché ci sono problemi anche molto gravi attinenti alla salute umana la cui soluzione può essere trovata anche lavorando meglio in allevamento. Vale per le resistenze agli antibiotici di vari batteri, vale per zoonosi note ed emergenti, sostenute dai cambi climatici in corso. Quindi, sì, l’approccio One Health è sicuramente importante e per noi dei servizi veterinari all’ATS di Valpadana è da tempo cosa comune lavorare di concerto con i colleghi medici su tante tematiche. Quella delle resistenze microbiche è una delle più preoccupanti e quindi è assolutamente giustificato che anche l’allevamento faccia la sua parte per contribuire a trovare una soluzione.
Parliamo allora di asciutta selettiva. A distanza di quasi nove mesi dall’entrata in vigore della obbligatorietà, come valuta la sua applicazione in allevamento?
Direi che il quadro è positivo e dimostra come la questione sia stata fatta propria dagli allevatori. Dai controlli eseguiti quest’anno, circa 200 su allevamenti di vacche da latte per la verifica delle modalità di messa in asciutta, per l’80% dei casi abbiamo trovato una situazione soddisfacente, con allevamenti che avevano intrapreso un percorso di asciutta selettiva. Magari non codificato ancora perfettamente, in fase di definizione e rodaggio, ma sicuramente si ricava l’impressione che per gli allevatori l’importanza di questo passaggio – così come il tema più ampio della lotta alle resistenze microbiche – sia stato capito. Certo, resta ancora qualche ostacolo di non poco conto. Ad esempio la difficoltà pratica in allevamento di fare a meno di una particolare molecola classificata tra i CIA (ossia quegli antibiotici strategici per uso umano che non possono più essere utilizzati in veterinaria) che è particolarmente efficace per la terapia di alcune malattie podali. Qui si fa un po’ fatica a ridurre i quantitativi, ma ci stiamo impegnando. Continueremo il lavoro di controllo e spiegazione, facilitati sicuramente dalla mancanza al momento di un decreto attuativo che definisca anche le sanzioni per i trasgressori. Era atteso per aprile, arriverà presto credo.
Effettivamente l’argomento sanzioni rientra nel vostro lavoro. Non sempre però è la misura più efficace per spingere ai cambiamenti desiderati. Che ne pensa?
Ho sempre sostenuto che la sanzione sia una nostra sconfitta, perché significa che non siamo stati in grado di spiegare l’importanza di assumere determinati comportamenti. Anche per questo tanta parte del nostro lavoro – e del mio particolarmente – è rivolta, sia pure nei limiti del nostro ruolo, alla formazione, alla spiegazione, in collaborazione con ordini veterinari e associazioni di allevatori. Lo facciamo da tempo, e negli anni scorsi sono state decine e decine gli incontri e le serate dedicate alle questioni dell’antibiotico-resistenza, dell’asciutta selettiva, del benessere animale. Credo anche per questo non si sia poi arrivati impreparati all’appuntamento.
Ha parlato di benessere animale, altro capitolo importantissimo per gli allevamenti. Del resto più benessere animale significa avere animali più sani e quindi meno necessità di cura e di uso di farmaci. Da tempo è un tema che vede voi veterinari pubblici impegnati in verifiche e controlli. Come è la situazione vista dal suo osservatorio?
Se su asciutta selettiva e consumo di antibiotici vedo consapevolezza diffusa e situazioni tutto sommato positive, sul benessere animale trovo che ci siano criticità ancora presenti. Mi riferisco soprattutto a una ancora insufficiente percezione dell’importanza dell’igiene in allevamento, in tutte le sue declinazioni: dalla pulizia degli animali a quella degli ambienti, in particolare di mungitura, le lettiere, gli spazi. C’è ancora una certa tolleranza di situazioni border line, purtroppo anche da parte di alcuni veterinari. Ma questa non è una questione di poco conto. Quando parliamo di benessere animale pensiamo magari a check list di decine di pagine, molto puntuali e precise. Eppure, la pulizia, l’igiene, sono aspetti che il consumatore, colui che vede l’allevamento dall’esterno senza una particolare preparazione tecnica, nota immediatamente. Non serve una preparazione tecnica speciale, infatti, per notare sporcizia, disordine, animali che devono muoversi tra le deiezioni non rimosse. Certo, è una piccola percentuale di situazioni, ma attenzione: l’1% dei “nostri” allevamenti significherebbe pur sempre una ventina di stalle, e il danno che possono fare a tutto il sistema zootecnico è enorme, andando ad avvalorare le descrizioni negative che di esso sono sottolineate. Nei nostri controlli (circa 500 ogni anno) teniamo sotto controllo una infinità di punti previsti dalla normativa. Ma la gente comune non ha conoscenza di queste tecnicità: guarda e resta colpita da quello che nota, e qui torniamo all’igiene, al disordine, alle lettiere sporche. Per rendere sempre meno numerosi questi casi serve un impegno di tutti: veterinari e allevatori, deve crescere la consapevolezza che su questo tema si deve alzare l’asticella della tolleranza.
Uno sforzo nel fare meglio, ma anche nel comunicare meglio l’allevamento reale, non quello dei sogni: che ne pensa?
Davvero qui c’è bisogno di fare un grande sforzo, perché ancora si fa poco. Bisogna dire al consumatore come sono gli allevamenti moderni, perché ci sono determinate strutture e procedure, quanto tutto ciò sia nella maggior parte dei casi volto a fare stare meglio gli animali e non allo sfruttamento, come viene sottolineato da chi accusa l’allevamento. E come si stia facendo molto per rendere le stalle sempre più a misura di benessere e le prassi sempre meno dipendenti dai farmaci. Bene ha fatto e fa il Consorzio del Parmigiano Reggiano a insistere su questi temi e a proporre strumenti concreti come i bandi su benessere e consumo di farmaci, perché indirizzano ancora di più gli allevamenti sulla strada giusta e, non dimentichiamolo, sono un passaggio indispensabile per vendere in certi mercati esteri dove questi temi sono maggiormente considerati. Ma quando comunichiamo l’allevamento non dobbiamo cadere vittima di modelli impossibili, come il pascolo generalizzato. Dobbiamo comunicare e spiegare l’allevamento intensivo, razionale, perché è questo il nostro modello produttivo. Ed è un modello dove gli animali nella stragrande maggioranza dei casi hanno molto più benessere di quanto possa pensare chi entra per la prima volta in un allevamento.