Continuiamo con Daniele Valcavi a parlare di allevamento, pascolo e di come sia possibile inserirlo (in tutto o in parte) in una realtà convenzionale.
Certo, come si è detto nell’articolo precedente (clicca qui) passare da un allevamento convenzionale a uno basato sul pascolo è cosa non facilissima, richiede motivazione e capacità di adattamento da parte di chi si appresta a iniziare da zero o convertire la stalla esistente.
Vale per la stalla di pianura, ma soprattutto per quella di collina e montagna che deve recuperare pascoli degradati e lavorare in un contesto di terreni frazionati.
“La realtà di pianura, con il podere accorpato, è la situazione sicuramente più semplice”, spiega Daniele Valcavi. “Permette la definizione di layout di pascolo predefiniti con recinti fissi, che consentono poi di ridurre il lavoro successivamente, una volta che l’azienda è partita e che sono state definite le parcelle.
Se invece saliamo di più in Appennino, con una situazione di frazionamento fondiario, lavoreremo di più con recinzioni mobili o semipermanenti.
In pianura magari è più consigliabile partire con un pascolo razionale a parcelle fisse mentre in collina e montagna dobbiamo essere più flessibili, puntando su un pascolo mobile o un pascolo a strisce.
In generale si possono definire delle linee guida e dare delle indicazioni per quanto riguarda il pascolo, ma soprattutto è un lavoro di adattamento dell’esistente e non può esserci un modello unico che viene applicato”.
“Questo perché – sottolinea Daniele Valcavi – più che un tipo di allevamento quello del pascolo è un sistema che cerca di ricalcare quello che fa la natura nei suoi cicli meglio possibile.
Dobbiamo ricreare nella pratica aziendale di ogni giorno quello che avviene in natura. Più ci riusciamo e più possiamo ridurre la necessità di input esterni. E poi, è fondamentale la volontà della persona, quanto di questo sistema vuole impegnare nella sua attività, quanto ci crede e quanto è disposto ad andare fino in fondo con questa filosofia di allevamento”.
E le bovine?
Come si comportano le bovine quando da un sistema convenzionale si passa al pascolo?
Come spiega Daniele Valcavi “è più facile partire da zero, con animali nuovi, che riconvertire bovine abituate al sistema stalla. La vacca è un animale pascolatore e questa è una cosa innata, certo, ma anche una cosa che apprende.
Innanzitutto perché nella stalla è abituata a ricevere il cibo, non ad andare a prenderselo.
E poi perché i razionamenti odierni ad alti input energetici e proteici ne fanno diminuire l’efficienza complessiva di trasformazione, e invece questa efficienza metabolica serve tutta quando la bovina va a pascolare e deve vivere e produrre con quello che mangia al pascolo”.
“Ovviamente – continua Daniele Valcavi – ci sono anche le vie di mezzo, dove il pascolo è solo parte della razione delle bovine.
In generale però va ricordato che l’inserimento del pascolo è qualcosa di molto delicato da gestire e il consiglio è partire dagli animali più giovani. Se si vuole coinvolgere anche le vacche più vecchie bisogna analizzare bene il flusso di cassa dell’azienda, perché c’è da mettere in conto un calo della produzione – e delle entrate – nella fase di transizione e di adattamento”.
E sul tipo di genetica da utilizzare c’è qualche differenza per il pascolo?
“In linea di massima, l’animale più tondeggiante è anche quello che tende ad assimilare di più e quindi preferibile. Il pascolo però impone di dare peso all’osservazione e alla capacità di capire quali sono quei soggetti in grado di cavarsela meglio in questo contesto.
Ci sono dei geni che si possono esprimere soltanto in un determinato contesto ambientale e il pascolo non fa eccezione. Bisogna lasciare che si manifestino nel fenotipo e fare una scelta per selezionare la propria rimonta”.