Intervista a Franco Gatti, Direttore tecnico di GIMa.
È un anno di qualità e quantità critiche per i foraggi e anche sulle materie prime le preoccupazioni non mancano. Per questo è importante che il mangime sia di ottimo livello, per compensare e aggiustare i deficit della stagione foraggera. Certo, anche per i mangimifici le difficoltà del momento non sono poche e si può dire che mai come ora mangimista e allevatore camminino sulla stessa strada, con le sorti dell’uno legate a doppio filo a quelle dell’altro, e viceversa.
E non è solo una questione di alimenti zootecnici. Il peso della componente finanziaria è diventato estremamente gravoso per le aziende, prima per i costi delle materie prime e ora per l’impennata dei costi energetici, e spesso il mangimificio assolve anche il ruolo di ammortizzatore finanziario per le aziende. Un a dimostrazione ulteriore del ruolo sempre più ampio e diversificato del mangimificio, dove prodotti e servizi si allineano al livello crescente delle necessità e delle richieste dell’allevatore.
E per chi fa latte da Parmigiano Reggiano? L’eccellenza del prodotto finale impone eccellenza anche nei mangimi: in sé stessi, per la qualità delle materie prime presenti, ma anche per la loro capacità di adattarsi dinamicamente ai foraggi della stalla, mai così disomogenei come quest’anno.
Di questo e altri parliamo con Franco Gatti, Direttore tecnico di GIMa.
Franco Gatti, partiamo proprio da questo anno così particolare, nel quale una serie di eventi straordinari ha creato e continua a creare non poche difficoltà…
Quello che colpisce non è tanto la quantità di cambiamenti che ci siamo trovati a dover gestire, ma la rapidità con cui questi cambiamenti sono arrivati e hanno imposto continue soluzioni, aggiustamenti di rotta, cambi di strategia. Qualsiasi gestione aziendale, che normalmente è una guida su un tracciato diritto verso gli obiettivi definiti e con dati noti, si è trovata a dover fare improvvise curve paraboliche, svolte a destra e a sinistra, accelerazioni, frenate brusche. Parlo per le aziende zootecniche e parlo dei mangimifici, mai come ora dalla stessa parte della barricata.
Bella l’immagine automobilistica, di questo che per le aziende sempre più ricorda un rally pieno di ostacoli non segnati sulla mappa. Nello specifico come avete gestito, come mangimificio, questa catena di eventi?
Un mangimificio è un importante anello della filiera e i suoi partner principali sono ovviamente gli allevamenti a cui conferisce il prodotto. Di fronte all’improvviso e sostanziale aumento dei costi – che ha colpito noi, ma che ha interessato pesantemente anche i nostri clienti – lo sforzo principale è stato quello di ridurre al minimo lo scarico a valle dei nostri maggiori costi di produzione. Ci siamo riusciti in parte sfruttando le opportunità legate ai contratti lunghi con prezzi relativamente favorevoli per l’acquisto di materie prime. Abbiamo cioè usato i margini che questi contratti ci davano per assorbire l’aumento dei costi e limitare l’aumento dei prezzi dei mangimi. Questo è stato possibile per un po’; poi, con l’aggiunta dei costi energetici e con il peso di quella parte di acquisti a prezzi di mercato, non è stato più possibile. Tuttavia una cosa ci è chiara e il nostro impegno in tal senso è continuo: un mangimificio può continuare a lavorare solo se il suo popolo di riferimento a valle guadagna.
In effetti si vede un impegno crescente dei mangimifici anche sul lato finanziario per dare un sostegno agli allevatori in difficoltà momentanee…
Questo è un punto importante. C’è un cambiamento in atto, un diversificarsi del ruolo storico del mangimificio. E tutto ciò ha un costo. Mi riferisco proprio al costo crescente della parte finanziaria. Storicamente noi mangimisti siamo stati anche degli ammortizzatori finanziari per le stalle. Ma ora l’aumento drastico dei costi, soprattutto energetici, ha messo un numero maggiore di aziende in difficoltà finanziaria. In queste situazioni la richiesta che ci viene fatta è quella di dilazionare i pagamenti per il mangime. Una richiesta che cerchiamo di accogliere, ma che è estremamente onerosa.
Se anche fate un po’ la parte di istituti di credito sui generis, è pur vero che la vostra mission è quella di produrre alimenti zootecnici. In particolare voi di GIMa, con la vostra attività rivolta per il 90% ad allevamenti che lavorano nell’ambito delle Dop, e del Parmigiano Reggiano in particolare, avete delle responsabilità particolari lavorando in filiere di eccellenza. Ebbene. In tutto ciò, considerando anche l’anno particolare, come si riesce a non arretrare rispetto agli standard abituali?
Non è possibile arretrare rispetto agli standard di eccellenza nella preparazione dei mangimi perché con le genetiche di oggi presenti nelle stalle non ci sono alternative a fare mangiare bene le vacche. Quest’anno in particolare è ancora più importante, direi strategico. Questo perché nelle stalle c’è una situazione particolare per quel che riguarda i foraggi: ci sono aree dove si sono fatti comunque foraggi di buona qualità, ma sono in quantità minore del necessario. Altre dove la qualità è bassa. La variabilità è alta e cambia drasticamente da zona a zona e anche nella stessa produzione di una stalla. Non solo. Avendo prodotto meno foraggi per la siccità molte stalle sono costrette ad acquistare prodotto e a volte si sceglie la via del risparmio. Ebbene, il mangime deve essere in grado di tamponare queste discrepanze e annullare più possibile gli inconvenienti di questa situazione. Quindi, oggi più che mai, i mangimi devono essere di grandissima qualità. Non è facile, perché si sono aperte vie di importazione dei cereali diverse da quelle consuete e anche le produzioni locali, ad esempio il mais, pongono qualche preoccupazione per il livello di tossine. C’è quindi da metterci ancora più attenzione e impegno per garantire il prodotto finale che va nelle stalle.
Parlavi dei foraggi e della loro variabilità. A questo come si risponde praticamente?
Il mangime gioca sempre più un ruolo dinamico per mantenere corretti gli equilibri della razione in termini di energia e di proteine. Il continuo monitoraggio qualitativo dei foraggi in azienda ci permette di predisporre mangimi sempre meno standard e sempre più customizzati sulle necessità della specifica stalla e dello specifico momento, con più o meno amidi o con più o meno proteine in funzione del foraggio utilizzato. È un modo evoluto di fare mangimi, partendo da alcuni moduli di formulazione base che poi vengono perfezionati in base alle necessità del cliente e al tipo di foraggio di cui dispone. Del resto c’è stata negli anni una grande crescita tecnologica, di conoscenze, di preparazione nella mangimistica, che è cresciuta di pari passo con la maggiore preparazione degli allevatori. Ci chiedono prodotti mirati per esigenze precise e noi dobbiamo essere in grado di rispondere a queste sollecitazioni.
Sicuramente essere iscritti all’Albo Mangimisti del Consorzio del Parmigiano Reggiano è uno stimolo importante, perché presuppone il mantenimento di standard superiori alla media, con controlli severi che interessano ogni aspetto della produzione.
E sul futuro del settore quale è la sua scommessa?
Saremo sempre più una zootecnia di eccellenza per fare prodotti di eccellenza, e non è detto che sia un male viste le potenzialità dell’export, ora ancora di più grazie al dollaro forte che facilita la penetrazione nei mercati internazionali.
Quindi è ottimista?
I mercati si ammalano a volte, ma non muoiono mai.