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Quali criteri per scegliere le vacche da curare?

Negli ultimi anni il mondo della buiatria si è visto sempre più direttamente e strettamente coinvolto nel processo di lotta all’antibiotico resistenza. Si tratta di una questione urgente per cui anche il mondo zootecnico è chiamato ad essere un attore in prima linea per la sua riduzione.

Fin dagli anni ‘60 siamo stati abituati, nell’ambito del “Five Point mastitis control plan”, a trattare sistematicamente con antibiotico tutti gli animali alla messa in asciutta (a praticare cioè la cosiddetta blanket therapy). Questa terapia “a tappeto” è stata per anni ideale ed attuale per motivazioni ben precise e comprovate: il trattamento era utile per curare le infezioni già presenti (soprattutto da batteri contagiosi) e contemporaneamente prevenire la comparsa di infezioni durante il periodo di riposo ed inattività della mammella (principalmente da batteri ambientali). L’impegno nella lotta all’antibiotico resistenza ha imposto però un cambio di attitudine, e dal 2015 le Linee guida sull’uso prudente degli antibiotici in medicina veterinaria (Comunicazione della Commissione 2015/C) hanno iniziato a raccomandare di “evitare il trattamento sistematico alla messa in asciutta” e oggi il Regolamento UE 2019/6 del Parlamento Europeo e del Consiglio 11.12.2018, la cui applicazione è obbligatoria dal 28 gennaio 2022, ribadisce il divieto di utilizzare antibiotici per la profilassi rendendo di fatto cogente l’adozione della terapia selettiva -in alternativa a quella a tappeto- alla messa in asciutta.

Ciò significa che possono essere trattate con antibiotico solo le bovine infette, per cui per impostare una corretta terapia selettiva servono strumenti e criteri affidabili e praticabili per, appunto, selezionare le bovine da trattare.

Ma che criteri utilizzare per la scelta degli animali da trattare per riuscire a selezionare gli animali che con buona probabilità sono infetti, dividendoli e trattandoli in modo diverso dalle bovine che invece con ogni probabilità sono sane? (si deve parlare di probabilità perché nessun sistema di diagnosi garantisce certezza assoluta)

Un parere emesso nel 2018 da un gruppo di sette esperti europei (Pan-European agreement on dry cow therapy. Vet Rec. 2018 Jun2; 182 (22): 637. doi: 10.1136/vr.k2382.) propone di puntare, tra i vari strumenti, sulla conta delle cellule somatiche individuali (SCC) ritenendola uno strumento largamente disponibile da un lato e sufficientemente accurato dall’altro.

Per allevamenti “a basso rischio” il documento afferma che sono probabilmente infette, e quindi bisognose di terapia antibiotica, le bovine con oltre 200.000 SCC su almeno uno degli ultimi tre controlli (o con più di 100.000 se si utilizza il solo ultimo) prima dell’asciutta o con almeno una mastite clinica negli ultimi tre mesi.

Le utilissime “Linee guida della Regione Emilia Romagna sull’Uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento bovino da latte” (2018.https://www.alimen- ti-salute.it/sites/default/ les/Linee%20 Guida%20BOVINI%202018.pdf ) propongono criteri simili ma leggermente più prudenti per la scelta degli animali da non trattare, suggerendo di farlo in quelli che per tutta la lattazione hanno avuto conteggi cellulari inferiori a 200.000/ml e non sono andati soggetti a nessun caso di mastite. Viene suggerito anche l’utilizzo di esami colturali o di PCR per la diagnosi eziologica ma, a giudizio di chi scrive, una prassi del genere è troppo impegnativa (mentre una informazione utile ed economica può essere fornita dal California Mastitis Test da fare subito prima del trattamento).

Diversi studi, oltre che la logica, dimostrano che più sono stringenti i criteri scelti, minori sono i rischi di mastiti in asciutta o nella lattazione successiva perché più è bassa la soglia e più capi verranno trattati, limitando la riduzione nell’uso di antibiotico ma tendenzialmente correndo meno rischi di rialzi delle conte cellulari.Viceversa alzando le soglie, dato che in questo caso più animali non verranno curati ma crescerà il rischio che tra questi ve ne siano alcuni che sono infetti: è importante trovare il miglior punto di equilibrio tra riduzione dell’uso di anti- biotico e mantenimento della salute del- la mammella attraverso valutazioni teoriche ed esperienze pratiche.

In Olanda già da molti anni, grazie alla strettissima collaborazione tra le autorità statali, i medici veterinari e gli allevatori, si è arrivati ad una riduzione dell’utilizzo di antibiotico alla messa in asciutta del 47%. Le prime prove effettuate a riguardo in realtà non erano state molto rassicuranti, in quanto in seguito alla riduzione dell’uso dell’antibiotico si è riscontrato un aumento delle mastiti in asciutta e nella successiva lattazione. Successivi studi degli stessi autori, poi, hanno invece con- fermato il trend positivo del mantenimento della salute della mammella nonostante un consumo minore di antimicrobici, che è esattamente ciò che si cerca di ottenere. La discrepanza tra i risultati è stata ricondotta al differente criterio di selezione degli animali da curare (ultimi controlli funzionali piuttosto che tutti i controlli funzionali dell’intera lattazione). Altre esperienze hanno dimostrato che adottando soglie permissive di SCC all’ultimo controllo prima della messa in asciutta (150.000/ml per primipare e 250.000/ml per pluripare), si era ottenuta una riduzione del consumo di antibiotico del 60%, con il risultato però di avere un eccessivo rischio di mastiti nella lattazione successiva. Restringendo i criteri (50.000/ml sia per primipare che per pluripare) si otteneva una riduzione molto minore (21%) di antibiotico, mantenendo però minimo il rischio di avere mastiti successivamente.

La soglia consigliata in conclusione risultava quella di 150.000/ml per primipare e 50.000/ml per pluripare, ottenendo una riduzione del consumo di antibiotico del 34%. Molti dati empirici indicano che in allevamenti ben gestiti soglie anche più alte (200-250.000 negli ultimi tre controlli) sono compatibili con uno stato sanitario soddisfacente.

È opinione comune che nella scelta della soglia di SCC vadano prese in considerazione anche le SCC del latte di massa, utilizzando criteri più prudenti (cioè soglie più basse) per la selezione degli animali da non trattare.

È difficile, e probabilmente non corretto, individuare un criterio generale valido per tutte le situazioni, perché ogni azienda è diversa ed ognuna dovrebbe avere ben chiara la propria situazione per poter iniziare ad approcciare in modo ottimale la questione. Se la scelta va fatta tenendo conto di vari fattori, tra cui non ultima l’attitudine più o meno “coraggiosa” dell’allevatore, in generale partire con soglie di cellule basse per poi crescere -riducendo così progressivamente i numeri di animali trattati- via via che si verifica attraverso un attento monitoraggio delle cellule somatiche individuali il mantenimento della sanità complessiva è l’approccio da utilizzare, sapendo che più si innalza la soglia meno animali si curano ma più rischi si corrono di avere vacche croniche.

L’esperienza olandese

In Olanda i primi monitoraggi sul consumo di antibiotici sono stati svolti tra il 1999 e il 2004, per arrivare nel 2008 all’adozione di una politica di uso responsabile dell’antibiotico negli animali destinati alla produzione di alimenti, e nel 2012 al divieto di utilizzare antibiotici a scopo profilattico, inclusi quelli per la messa in asciutta.

Queste misure hanno determinato una riduzione di consumo di antibiotico del 47% nel periodo 2009-2015, in particolare degli antibiotici cosiddetti “di importanza critica”, il cui consumo è stato ridotto a livelli minimi.

Rispetto al 2009, anno in cui il 94% delle bovine veniva sottoposto a trattamento antibiotico alla messa in asciutta, si è osservata una progressiva riduzione della percentuale di bovine trattate, che nel 2014 è risultata pari al 61%, senza che questo abbia determinato un peggioramento della situazione sanitaria degli allevamenti bovini da latte, misurata attraverso l’incidenza di mastiti cliniche, l’incidenza e la prevalenza di mastiti subcliniche e la conta delle cellule somatiche del latte di massa.

Marco Nocetti DVM, Barbara Bianchin DVM Servizio Produzione Primaria Consorzio Parmigiano Reggiano