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Il ruolo dell’amido nelle razioni delle bovine

Alla base della tipicità del Parmigiano Reggiano stanno i foraggi verdi e affienati ottenuti dalle terre consortili; solo con essi, infatti, si mantiene la microflora lattica mesofila che connota e “marca” le caratteristiche sensoriali del formaggio.

Attualissima in tal senso la norma del Regolamento che chiede che almeno il 50% della sostanza secca consumata dalle bovine sia costituita da foraggi. Tale strategia è possibile solo disponendo di fieni di alto valore nutritivo (fibra e proteine digeribili) e cioè ottenuti da piante sane, giovani, rapidamente disidratate, conservate e utilizzate in maniera razionale.

Ma anche i mangimi sono una componente fondamentale delle razioni. I cereali e le granelle di leguminose, come anche i loro coprodotti (cruscami, farinacci, panelli e farine di estrazione) e come quelli ottenuti da altre importanti filiere agroindustriali nazionali (polpe di bietola, semole glutinate, melassi), offrono l’opportunità di soddisfare le esigenze nutrizionali delle bovine elevando al contempo le caratteristiche qualitative e casearie del latte.

Ora, quali risorse può offrire il territorio? I piani colturali che da sempre sono stati utilizzati dagli allevatori del comprensorio sono quelli che prediligono la produzione, in rotazione, di foraggi (medica soprattutto) e cereali. Fra questi ultimi i migliori candidati ad essere prodotti nella stragrande maggioranza dell’areale sono di certo rappresentati da grano e orzo come cereali vernini e sorgo e mais come cereali estivi.

Grano, orzo, sorgo, mais

L’orzo è un cereale da sempre conosciuto e accettato dagli allevatori come alimento per il proprio bestiame; nel tempo il mais, anche per suo maggior valore energetico, si è largamente affermato e molti allevatori e tecnici oggi ritengono che senza il mais (e la soia) non sia possibile alimentare le vacche e sostenerne i livelli produttivi.

Nel corso degli ultimi anni tuttavia la produzione consortile e italiana di mais si è fortemente contratta dati i noti problemi di salubrità che questo cereale spesso presenta in termini di elevate contami- nazioni da aflatossine. Inoltre il mais richiede costi colturali elevati soprattutto per sue necessità idriche.
Il miglior candidato a sostituire o integrare le necessità aziendali di mais è il sorgo. Questo cereale è di fatto esente da rischi di contaminazione da micotossine di campo, richiede molta meno acqua, ha caratteristiche nutrizionali molto simili a quelle del mais e non richiede in molti casi di essere essiccato. Anche il grano, insieme all’orzo, deve essere considerato come fonte interessante di amido e proteine.
 Nonostante i teorici vantaggi, ancora scarsi sono l’esperienza e l’accettabilità da parte degli allevatori e di molti tecnici nei confronti dell’uso delle granelle di sorgo e grano. 
È giustificata la diffidenza che si percepisce nei confronti dell’uso di queste fonti amilacee? Cosa dice la ricerca? Esistono esperienze consortili convincenti?

Un’interessante esperienza sull’impiego del sorgo


Le banche dati ci dicono che il valore energetico del sorgo è di fatto sovrapponibile a quello del mais; il sorgo presenta un valore di proteine più elevato (10% vs 7,5% circa), la degradabilità ruminale dell’amido è minore (7-8%/h vs 10-12% del mais vitreo) mentre la digeribilità intestinale è leggermente inferiore. Presso il Dipartimento Dimevet dell’Università di Bologna nel passato sono state condotte diverse prove sperimentali finalizzate a comparare l’uso di mais e l’uso di sorgo somministrato in diverse forme (farina e fiocco) e i risultati hanno costantemente evidenziato la ottima accettabilità da parte delle bovine nei confronti del sorgo; le risposte produttive sono state sempre caratterizzate da un miglioramento dei tenori lipidici del latte e da produzioni analoghe a quelle offerte dal mais. Forti di queste esperienze si è realizzata una ricerca di campo su 1.500 bovine in lattazione comparando l’uso di farina di sorgo in completa sostituzione del mais (7 kg/capo/die) per valutare le risposte produttive di stalla, le caratteristiche di caseificazione del latte e le rese in for- maggio al caseificio.

I risultati sono stati molto convincenti al punto che i cooperatori proprietari degli animali hanno deciso di triplicare le superfici investite a sorgo per aumentare il grado di autosufficienza energetica del- la propria azienda e “trattenere” maggior valore per i propri terreni. La ricerca è ora in fase di pubblicazione.

Linee guida proposte
per l’uso degli amidi

L’uso dei cereali e dei prodotti amilacei nel razionamento deve perseguire l’obiettivo di assicurare ai batteri ruminali (per favorire la produzione di proteine microbiche che sono di eccellente qualità), adeguate quantità di amido degradabile e disponibili all’assorbimento intestinale per soddisfare più efficientemente i fabbisogni in glucosio delle bovine. Sulla scorta delle stime svolte sempre a partire dalle esperienze condotte presso la stalla didattica dell’Università di Bologna ( https://scienzemedicheve- terinarie.unibo.it/it/dipartimento/se- di-e-spazi/stalla), la quantità di amido degradato che non determina problemi di pH nel rumine può essere compresa entro i 4-4,5 kg/giorno.

Considerando un’ingestione media giornaliera di 24 kg di sostanza secca, il livello di amido degradabile della razione non dovrebbe eccedere il 18-19% della sostanza secca; la quantità di amido escape dalle fermentazioni e potenzialmente digeribile nell’intestino dovrebbe invece essere entro i 2,5 kg/ giorno che corrispondono al 10% circa della sostanza secca ingerita.

In base a queste linee guida è possibile formulare le razioni includendo diverse fonti di cereali fra cui anche il grano o le fonti amilacee da esso derivate come i farinacci e i cruscami. L’amido del grano infatti è molto più degradabile di quel- lo del sorgo e del mais e può aiutare a equilibrare le razioni in funzione degli obiettivi ricercati.

Le varietà di grano sono tutte uguali?

Il grano è stato, nel nostro Paese, oggetto di grande studi miranti alla individuazione di varietà più produttive e connotate da caratteristiche specifiche per specifici usi alimentari come pasta, biscotti, ecc.. In campo zootecnico, poi, ormai il grano è molto apprezzato come risorsa foraggera capace di integrare la medica. I principali vantaggi sono quelli di disporre di fibra caratterizzata da buona degradabilità e, al contempo, capace di mantenere e promuovere la masticazione e la motilità ruminale.
Ulteriori vantaggi di questa coltura sono quelli di poter essere raccolta fra il primo e il secondo sfalcio di medica e di offrire una maggiore stabilità della razione nel tempo.
Presso il Dimevet sono iniziate indagini per valutare, fra le varietà di granelle maggiormente diffuse, quelle a più elevato titolo di proteine e con caratteristiche dell’amido più adatte all’alimentazione delle bovine. L’idea è quella di avere, nel prossimo futuro, dati che ci indichino le varietà di frumento in granella da Parmigiano Reggiano. Analoga strategia potrà, in prospettiva, essere utilizzata anche per individuare le migliori varietà di sorgo e orzo.

L’industria mangimistica 
e gli aderenti all’albo dei mangimisti

Il ruolo dell’industria mangimistica è chiaramente fondamentale per molti aspetti che vanno ben al di là della funzione economica commerciale per la filiera. È forse ancora poco valorizzato il ruolo che essa svolge nel supportare tecnicamente il lavoro quotidiano degli allevatori e tale ruolo dovrà essere armonizzato per promuovere presso le stalle sistemi produttivi in linea con i dettami del Regolamento e le attese dei consumatori di Parmigiano Reggiano che sono i veri responsabili del valore economico della filiera: il maggiore utilizzo di fonti amilacee di provenienza comprensoriale potrebbe essere un tema da sviluppare all’interno di questa partnership tra Consorzio, Università ed Albo dei mangimisti.

Gli allevatori dovrebbero con convinzione premiare, con le proprie scelte commerciali, coloro che aderiscono all’Albo dei produttori di alimenti (mangimisti, foraggicoltori, stoccatori di cereali e integratoristi) e richiedere che i propri fornitori vi appartengano. Ciò consentirà di promuovere un percorso di qualità e trasparenza non solo utile ma fondamentale per tutta la filiera.

La filiera può preservare e accrescere il suo valore solo se tutti gli allevatori opereranno con partner commerciali che sposino la filosofia di produzione del Parmigiano Reggiano rafforzandone la credibilità da parte del consumatore.

Andrea Formigoni

Università di Bologna, Dipartimento Dimevet