La recente crisi delle materie prime, con l’impennata dei loro costi, ma anche le difficoltà di approvvigionamento, ha messo in evidenza il rischio, per una Dop come il Parmigiano Reggiano di essere in balia degli incerti dei mercati internazionali per le materie prime destinate all’alimentazione delle bovine.
Tuttavia la questione è assai più complessa e coinvolge l’origine stessa di ciò che entra nelle razioni di ogni giorno nelle stalle. Per il Parmigiano Reggiano servono materie prime (foraggi, ma anche cereali e granelle proteiche) prodotte localmente, nel comprensorio o nelle sue aree limitrofe.
Solo così possiamo essere inattaccabili sul legame stretto tra la Dop e il suo territorio, come si aspetta il consumatore e come difficilmente si potrebbe sostenere se nelle razioni ci fossero in misura troppo elevata mais, soia e altre materie prime provenienti dai mercati internazionali.
Il problema è destinato ad acuirsi: i progressi della genetica, con bovine sempre più performanti, pongono in proiezione la necessità di alimenti zootecnici in continua crescita.
A questo punto sorge la domanda: il comprensorio del Parmigiano Reggiano ha le potenzialità, e cioè le superfici, per essere autosufficiente nella produzione di foraggi, cereali e proteaginose?
Non da solo, ma può esserlo se si allarga lo sguardo alla intera regione Emilia-Romagna e alla provincia di Mantova.
La necessità di sostanza secca per i capi impiegati per la produzione della Dop –secondo un’analisi del CRPA – è stata stimata in 2,45 milioni di tonnellate, di cui il 56% da foraggi e circa 1 milione di tonnellate da concentrati.
Secondo elaborazioni del CRPA in Emilia-Romagna e con l’aggiunta della provincia di Mantova, ci sono 1,37 milioni di ettari coltivati, di cui oltre 875 mila per la produzione di foraggi e granelle, quindi utilizzabili per l’alimentazione delle bovine da latte da Parmigiano Reggiano (di queste superfici, circa il 41% è situata nei comuni e nelle province del comprensorio del Parmigiano Reggiano).
I fabbisogni sarebbero superati di slancio: si arriverebbe addirittura per i foraggi a quasi il 166%, mentre per cereali e proteaginose si potrebbe superare il 149%.
Insomma, i numeri ci sono, ancorché sulla carta.
Perché sono aree destinate spesso a colture per filiere già consolidate, come quelle per uso alimentare (ad esempio quella del grano duro).
C’è dunque del lavoro da fare: individuare le aree potenzialmente utilizzabili e organizzare le filiere e le produzioni, con un coinvolgimento sia dei produttori che dei mangimifici.
E proprio in questa cornice si inserisce il GOI (Gruppo operativo per l’Innovazione) Feed PR, con il CRPA capofila e la partecipazione anche del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano.
Questo GOI è nato proprio con l’obiettivo di avviare un percorso organizzativo per creare una filiera emiliano-romagnola di produzione di cereali e granelle proteiche destinate all’uso zootecnico nel comparto del Parmigiano Reggiano.
Si tratta di un obiettivo strategico per il Consorzio e permetterà di allargare il perimetro del valore che la Dop genera facendolo ricadere ancor di più sul suo territorio di produzione, comprendendo quindi anche la componente agricola e assicurando un maggior reddito alle produzioni cerealicole e proteiche e generando flussi certi di materie prime locali, minore dipendenza dai mercati e dalle loro oscillazioni, accresciuto legame col territorio.
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