Quanto formaggio rende un ettaro di medica, o di prato stabile?
La domanda è inconsueta, ma assolutamente centrata ed è la provocazione fatta dal prof. Andrea Formigoni, dell’Università di Bologna, nel corso della sua relazione al convegno del 10 aprile scorso, dedicato proprio ai foraggi, alla loro importanza per una stalla efficiente e al nesso inscindibile tra un buon foraggio e un buon formaggio.
Una relazione ricca di contenuti e con tanti risvolti pratici, quasi la lezione perfetta, che è possibile riascoltare andando ai video del convegno che trovate a fondo pagina.
Dunque, tornando alla domanda di apertura, quanto formaggio rende un ettaro a medica o prato stabile?
Dipende.
Dipende da tutti quei fattori che entrano in gioco nel far variare, anche fortemente, la qualità e la quantità dei foraggi prodotti. Solo riferendosi al Comprensorio del Parmigiano Reggiano – è stato ricordato – se i foraggi prodotti fossero tutti di elevata qualità si potrebbe, a parità di produzioni, avere in razione 4 kg di fieno in più e 4 kg di mangime in meno, con relativi vantaggi per la funzionalità del rumine e per il costo razione.
Quando si parla di qualità del foraggio – come ha ricordato in vari passaggi il prof. Formigoni – si deve soprattutto considerare la digeribilità della sua fibra e la ricchezza di foglie delle piante sfalciate e affienate.
Tutto ciò è la diretta conseguenza dei tempi di sfalcio e delle strategie di raccolta adottate.
A questo riguardo la consuetudine attuale non aiuta, essendo frutto di una tradizione consolidata, di quando le vacche producevano 60 quintali di latte. Ora, con le produzioni anche doppie facilmente riscontrabili in tante stalle da Parmigiano Reggiano, serve un foraggio differente e questo lo si può avere solo considerando con molta più attenzione la fase agronomica.
Centrale è l’anticipo dei tempi di raccolta e l’organizzazione del cantiere di lavoro in maniera tale che non ci siano ritardi allo sfalcio, dato che ogni giorno di ritardo significa perdite importanti in digeribilità della fibra.
Come ha sottolineato Andrea Formigoni per la medica il primo taglio deve avvenire quando ancora non è comparso alcun fiore, e non con una fioritura del 10% delle piante, come generalmente adottato. E la distanza tra uno sfalcio e il successivo deve essere compresa tra i 21 e i 25 giorni, non oltre.
Stesso discorso, volto all’anticipo dei tempi di raccolta, anche per le graminacee, per le quali non si deve andare oltre la pre-fioritura.
Certo si lavora con una pianta più verde (e per questo è quasi inevitabile considerare l’ipotesi essiccatoio in azienda), ma da cui si otterrà un fieno assai più digeribile, ricco di foglie (che da sole rappresentano un vero e proprio nucleo, arrivando, per la medica, anche al 32% di proteine), capace di sostenere le necessità di bovine altamente produttive senza dover aggiungere mangime, inducendo un aumento nel consumo di sostanza secca (che può arrivare a più del 10%) essenziale in fasi come la fine dell’asciutta o l’inizio di lattazione.
Un fieno così digeribile dovrà poi essere accompagnato da aggiunte in razione di un prodotto fibroso, anche paglia, per favorire la ruminazione, ma è la via obbligata da seguire in mangiatoia.
Perché, ha più volte ripreso il concetto il professore, non è possibile andare oltre rispetto ai quantitativi attuali di mangime e le necessità nutrizionali della bovina conseguenti a produzioni sempre più alte e a genetiche sempre più performanti devono giocoforza essere soddisfatte da un miglioramento dei foraggi.
Senza considerare la questione economica, andare oltre il 50% di mangimi in razione, prima ancora che dal Disciplinare, è vietato dal rumine, dato che la sua funzionalità andrebbe a decrescere, con maggiori rischi di acidosi e minore capacità di degradare la fibra dei fieni presenti in razione.
Se il rumine funziona correttamente, infatti, è in grado di degradare fino l’80-90% della fibra potenzialmente digeribile. Aumentando la quota di mangime in razione si riduce questa capacità al 75-80%.
Ecco perché il prof. Formigoni ha sconsigliato vivamente la scorciatoia del classico “kg in più di soia in razione” per ovviare alle necessità nutrizionali delle bovine altamente produttive.
Non solo – come si è visto – sarebbe assai poco efficiente, ma mancherebbe di apportare tutto ciò che di positivo per il rumine (e quindi per l’intera azienda) si porta in dote un maggiore quantitativo di fieno fatto bene, oltre al suo contenuto in proteine: vitamine e provitamine, sali minerali, omega 3, acidi organici, zuccheri…
Tutte componenti peraltro che, se carenti, richiedono in intervento con integratori mirati acquistati all’esterno.
E sempre a proposito di acquisti, fa sempre una certa impressione lo studio proposto alla platea, non recentissimo ma più che mai attuale, che ha messo a confronto razioni con fieno di alta qualità e razioni con fieno mediocre: con le prime rispetto alle seconde, si sono avuti 9 kg di latte in più al giorno, a parità di concentrato e di tutto il resto in razione.
Fieno di massima qualità offre quindi due strade possibili: produrre di più senza dover accrescere la quantità di mangime o continuare a produrre la stessa quantità di latte (o, meglio, di formaggio) abbassando i quantitativi di mangime utilizzati.
Già, ma i costi per avere foraggi di qualità così alta, in particolare quelli necessari per l’investimento in un essiccatoio aziendale (che, come si è visto, è il punto di caduta quasi inevitabile di tutte le buone pratiche attuate in campo), sono ripagati?
Tutti i calcoli fatti su esperienze concrete sono concordi: i costi ci sono, ma i vantaggi (più latte, più materia utile, meno mangime) li superano, sia pure con una variabilità legata alle tante differenze aziendali (come la presenza o meno di impianto biogas in azienda e possibile recupero termico) da analizzare e approfondire caso per caso.
Lo ha illustrato il prof. Formigoni e ne ha dato conferma con analoghe esperienze (tra cui la sua, nella propria azienda in Alto Adige passata alla conformazione “solo fieno” con essiccatoio) Cristoph Hellweger, di Lasco Italia, secondo relatore del convegno, che nella sua relazione ha parlato di strumenti e attrezzature per la fienagione, in particolare essiccatoi di ultima generazione.
Ma i vantaggi non sono solo tecnici ed economici.
Perché sui fieni, e soprattutto sui fieni locali – come ha ricordato Marco Nocetti, Responsabile del Servizio Produzione Primaria del Consorzio – poggia tutta la questione della sostenibilità della produzione (per il loro effetto di serbatoi di carbonio e di strumenti di tutela del paesaggio e della biodiversità) e del legame con il territorio, che si riflette in maniera positiva sulla porzione di formaggio posta sullo scaffale di vendita.
Per il Parmigiano Reggiano questo è un aspetto strategico: oltre che per i vantaggi in stalla per assecondare il consumatore, che a tutto questo presta sempre più attenzione.
Serve dunque più fieno non solo per il rumine delle bovine, ma anche per il marketing e lo storytelling del formaggio.
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