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Si può fare a meno della soia nelle razioni da Parmigiano Reggiano?

L’ottimizzazione quantitativa e qualitativa degli apporti azotati nell’alimentazione delle bovine da latte continua a rappresentare una delle problematiche scientifiche e operative più sentite. Ciò non sorprende vista la complessità della tematica ed in particolare di quella inerente la corretta stima dei fabbisogni e della produzione ruminale di proteine microbiche.
 Più in generale, l’alimentazione azotata degli animali in produzione zootecnica è oggetto di grande interesse in considerazione dei seguenti elementi:


- La sostenibilità economica: gli alimenti proteici (soia, colza, girasole, ecc.) costano più di quelli energetici; ciò significa che la riduzione degli apporti proteici delle razioni in genere comporta un risparmio nei costi di alimentazione;

La sostenibilità ambientale: eccessi proteici della dieta comportano un inevitabile aumento della escrezione di azoto. L’ottimizzazione delle razioni in termini di apporti energetici, azotati ed aminoacidici, consente di ridurre di oltre il 25% la concentrazione proteica della dieta rispetto ad un’alimentazione convenzionale; l’adozione di queste strategie nutrizionali consentirebbero di rispettare con maggior facilità e flessibilità le normative che fissano l’apporto massimo di azoto per ettaro a 170 o 340 kg/anno, in relazione alla diversa “vulnerabilità” dei terreni. L’Europa è deficitaria di proteine da utilizzare in alimentazione animale e la dipendenza dalle importazioni (di soia soprattutto) è in continuo aumento. Il costo ambientale della coltivazione di soia e della sua importazione è oggetto di preoccupazione dato il suo costo ambientale in termini di produzione di CO2; il tema delle azioni di deforestazione talvolta collegate alla sua coltivazione costituirà una ulteriore remora al suo utilizzo;

La qualità del latte: l’equilibrato apporto delle diverse frazioni azotate e glucidiche degli alimenti, che tenga conto fra l’altro dei tassi di degradabilità oraria nel rumine di queste componenti, rappresenta la via maestra per elevare le sintesi di caseina, migliorare l’attitudine casearia del latte e le rese in formaggi;

La salute degli animali: ad ogni eccesso proteico corrisponde un proporzionale aumento dell’urea nel latte con interferenze negative sulla qualità dello stesso e potenziali effetti indesiderati sullo stato di salute delle bovine;

Le norme della Dop e le attese dei consumatori: è caratteristica peculiare delle Dop un rapporto col territorio che passa anche per la provenienza delle materie prime utilizzate per l’alimentazione degli animali: nel caso del Parmigiano Reggiano a fronte di una sostanziale autosufficienza per la produzione dei foraggi esiste la necessità di elevare le quantità di cereali e leguminose territoriali necessarie alla produzione di latte.

Il metabolismo dell’azoto

È noto che gran parte delle sostanze azotate apportate con la razione giornaliera viene rapidamente degradata dalla microflora proteolitica per fornire peptidi, amminoacidi ed ammoniaca ai microrganismi che popolano il rumine. È importante ricordare che i batteri cellulosolitici utilizzano quasi esclusivamente ammoniaca per soddisfare i loro fabbisogni e che i batteri amilolitici necessitano invece anche di peptidi ed amminoacidi.

Per questo motivo è necessario assicurare un apporto di azoto degradabile che soddisfi queste esigenze. La quota parte di azoto che deve essere trasformato in ammoniaca può ovviamente derivare da azoto non proteico fornito con la razione o riciclato nell’organismo della bovina mentre gli amminoacidi e i peptidi derivano in gran parte dalla degradazione delle proteine vere.

La bovina è molto ben “attrezzata” per recuperare questi nutrienti necessari ai batteri; in effetti, attraverso la saliva viene riciclata urea che viene prontamente trasformata in ammoniaca nel rumine mentre una discreta quota di amminoacidi e peptidi necessari ai batteri amilolitici deriva dalle proteine dei protozoi e dei batteri che muoiono nel rumine.

Il livello minimo di ammoniaca che garantisce un’ottimale crescita microbica e digestione della fibra è di 5 mg/ml di liquor ruminale ed esiste una buona correlazione fra proteina assunta, ammoniaca ruminale e tenori di urea nel latte. Le concentrazioni di ammoniaca nel rumine sono variabili durante la giornata soprattutto in dipendenza del numero e della distribuzione dei pasti.

Nel caso delle razioni per il Parmigiano Reggiano basate sull’uso di fieni, in situazioni ottimali d’ingestione alimentare, si ritiene possibile l’utilizzo di livelli di pro- teina della razione veramente contenuti (13-13.5 % della sostanza secca) sen- za correre rischi carenziali; nelle usuali condizioni di allevamento tuttavia, per garantire livelli sufficienti di ammoniaca, appare più prudente utilizzare razioni che apportino livelli di proteine compresi fra il 14.0 e il 15.5 % sulla sostanza secca.

Bene le razioni con bassi titoli proteici

Le più recenti indicazioni della ricerca tuttavia hanno ulteriormente ridotto le stime relative ai fabbisogni in proteine metabolizzabili; queste indicazioni confermano numerose esperienze di campo e risultati ottenuti già diversi anni fa secondo cui è possibile ottenere ottime performance produttive utilizzando razioni con bassi titoli proteici. Il successo di queste strategie risiede soprattutto nel massimizzare la crescita microbica ruminale attraverso l’apporto di glucidi degradabili (fibre, zuccheri, amidi) e, a seguire, ottimizzare la degradazione della fibra e la funzionalità ruminale. Digeribilità e profilo amminoacidico delle proteine che giungono nell’intestino condizionano la sintesi di proteine del latte. Il profilo in amminoacidi delle proteine di origine batterica è ben equilibrato per rispondere alle esigenze dell’animale mentre le materie prime di comune impiego sono in genere deficitarie di metionina, lisina e istidina.

Pisello proteico e favino presentano un maggior contenuto di lisina rispetto a tutte le altre fonti; la metionina è più rappresentata nel girasole e nei cereali, ma comunque a livelli insufficienti rispetto ai fabbisogni. Le ottimali caratteristiche delle proteine di origine microbica rimarcano la convenienza a stimolare la crescita batterica e spiegano come il ricorso all’utilizzo di elevate dosi di proteine by pass spesso non offra i vantaggi attesi, soprattutto se sono utilizzate fonti scarsamente dotate di lisina e metionina.

La scelta oculata di fonti proteiche di elevato valore biologico e il razionale ricorso all’impiego di amminoacidi rumino protetti (metionina in primis) consentono di ridurre significativamente i titoli proteici delle razioni pur sostenendo performance produttive elevate.

Tali strategie hanno evidenziato anche la possibilità di aumentare l’efficienza di trasferimento dell’azoto nelle produzioni zootecniche. Il tutto può tradursi in interessanti risparmi sul costo alimentare e in un netto vantaggio ambientale per il contenimento dell’escrezione di urea.

Razioni senza soia

Alla fine del 2005 è stato realizzato dai ricercatori dell’Università di Bologna un progetto di ricerca, finanziato con il contributo della Regione Emilia-Romagna e del Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano e coordinato dal Crpa, che aveva come obiettivo generale di valutare la produzione di latte destinato a Parmigiano-Reggiano senza l’uso di soia nella razione (Mordenti A.L. et al, 2007, Italian J. Animal Sci., 6:sup1, 463-465, DOI: 10.4081/ijas.2007.1s.463).

La ricerca è stata realizzata in un’azienda agricola del Comprensorio autosufficiente per la produzione di fieni aero essiccati di ottima qualità e dotata di un moderno caseificio.

Per la ricerca sono state utilizzate 120 vacche in lattazione suddivise in due gruppi omogenei. Il gruppo di controllo era alimentato con un mangime contenente farina di estrazione di soia mentre nel gruppo “trattato” gli animali ricevano pisello proteico e favino. Per entrambi i gruppi le razioni erano caratterizzate da livelli (sulla sostanza secca) di proteine del 14%, di amido del 22,5% e di NDF del 37,5%.

La sostituzione della farina di estrazione di soia e di cereali con favino e pisello proteico ha indotto una flessione dei consumi di sostanza secca e del volume produttivo con una sostanziale equivalenza della produzione media di latte corretto al 4% di grasso.

Il latte in caldaia prodotto dalle vacche alimentate senza soia presentava percentuali di grasso e caseina significativamente più elevati determinando una resa superiore in formaggio fresco (tabella 2). Tutte le forme derivate dal latte prodotto dai due gruppi sperimentali (362 forme da Controllo e 362 da Trattato) sono state sottoposte all’espertizzazione di rito da parte del personale esperto del Consorzio di tutela con ottimi risultati complessivi (97% di formaggio di prima categoria e 3% di forme con difetti minimi) e senza differenze fra i due gruppi.
 Più di recente sempre i ricercatori del Dipartimento Dimevet dell’Università di Bologna hanno pubblicato i risultati di una ricerca condotta per testare gli effetti derivanti dall’inclusione di farina di estrazione di colza in razioni da Parmigiano Reggia- no (Cavallini et al., 2021, Italian J. Anim Sci., Vol. 20, 1, 295–303, https://doi.org/ 10.1080/1828051X.2021.1884005). La completa sostituzione della soia non ha determinato risultati negativi mentre le migliori risposte si sono osservate con l’uso contemporaneo delle due fonti azotate probabilmente per un miglior equilibrio amminoacidico della razione. L’uso della colza non è attualmente autorizzato dal Disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano, ma anche sulla scorta degli esiti di queste sperimentazioni è in corso di esame da parte del Consorzio l’opportunità di una modifica del disciplinare in tal senso.

Conclusioni

Nell’alimentazione delle vacche che producono latte per il Parmigiano Reggiano, l’utilizzazione di foraggi (erba medica in particolare) di ottima qualità (come sono i foraggi sfalciati precocemente ed aeroessiccati) in grado di garantire significativi apporti proteici con concomitante adozione di diete a titolo proteico relativamente contenuto (14-15% s.s.), consente di rendere sempre più interessanti mangimi proteici alternativi alla soia quali fava, favino, pisello proteico, girasole ecc. La produzione di fieni di medica di elevata qualità come fonte azotata primaria della dieta si è dimostrata praticabile grazie alle ricerche finanziate dalla Regione Emilia Romagna e dovrebbero essere promossi gli investimenti nelle aziende agricole per l’installazione di impianti di essiccazione assistita.

Circa la possibilità di sostituire la farina di estrazione di soia nelle razioni non vi sono dubbi che ciò sia possibile se sia necessario e/o opportuno. Va ovviamente valutata di volta in volta la sostenibilità economica di queste scelte.

Andrea Formigoni

Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie – Università di Bologna.