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Servono animali che restano in stalla

Una chiacchierata con Elena Dorighi, veterinaria buiatra che lavora in stalle del comprensorio del Parmigiano Reggiano, oltre ad avere un suo allevamento a Soragna.

Elena Dorighi è una veterinaria buiatra con idee chiare e la capacità di esporle con entusiasmo e in maniera convincente. Appassionata del suo lavoro, ci è arrivata con un percorso inconsueto, almeno per quello che è lo standard consolidato. Ligure, ha dapprima frequentato la facoltà di Economia e Commercio a Genova, laureandosi brillantemente nel ramo marketing.

Il passo successivo è stato un posto di lavoro alla Barilla, sezione marketing, incontri, presentazioni, progetti, obiettivi, lavoro in team, possibilità di crescita e carriera. Ma…quell’idea di fare la veterinaria per le bovine da latte che era stata un po’ accantonata è tornata prepotente, giorno dopo giorno.

Fino a che ha lasciato il lavoro e si è iscritta a Veterinaria per il secondo giro di laurea. A seguire esperienze importanti all’Università dell’Illinois e in quella di Hannover nella sua formazione.

Ora, venendo al tempo presente, è da una quindicina d’anni una soddisfatta buiatra che si occupa di clinica, ginecologia e chirurgia delle bovine da latte in stalle del comprensorio del Parmigiano Reggiano, soprattutto in provincia di Parma. E non è ancora tutto, perché le bovine da latte le cura, sì, ma anche le alleva, avendo un suo allevamento, con quaranta vacche in mungitura, a Soragna, con annesso agriturismo.

La sua idea di allevamento è ben precisa e si può condensare in poche parole: spazio per le bovine, benessere, rispetto per la fisiologia e le attitudini della specie.

Elena Dorighi, partiamo proprio da questo punto: la zootecnia da latte attuale vede da un lato produzioni medie altissime, ma dall’altro una durata in stalla sempre più bassa, perché sono tante le problematiche che si fa sempre più fatica a gestire con successo…

Certo, questa è la situazione nella maggioranza delle stalle, che ha anche un grosso peso economico, se è vero che – come ha ricordato anche Cristian Rota nel recente seminario organizzato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano – l’economicità di una bovina da latte è massima dalla quarta lattazione.

Eppure viaggiamo su medie stalla di 2,3-2,4 lattazioni. La spiegazione è che le stalle da latte non sempre hanno il livello di benessere e la capacità di assecondare le necessità di una bovina da latte che negli anni è stata selezionata per avere altissime produzioni ed elevata persistenza della lattazione, modificando profondamente le sue caratteristiche fisiologiche e rendendola un animale che produce tantissimo, ma che rischia di “friggersi” presto perché ha necessità molto impegnative che difficilmente possono essere soddisfatte. È un corto circuito vero e proprio: produzioni sempre più alte, ma longevità sempre più bassa.

Sarebbero a mio avviso preferibili animali che resistano in stalla per molte lattazioni, anche se con produzioni più contenute.

La persistenza in stalla è fondamentale e il primo criterio quando scelgo un toro non è la produzione, ma la longevità. Poi vengono la sanità della mammella e la sua correttezza e, ovviamente, arti e piedi.

Inevitabile parlare di benessere animale se l’obiettivo è quello di avere bovine più longeve e con meno problemi sanitari. Come vedi la situazione nelle stalle che segui professionalmente?

Sul benessere animale come guida a ciò che si fa in allevamento vedo due situazioni opposte come approccio culturale prima ancora che come atti concreti.

Da un alto ci sono aziende che ci credono e che hanno lavorato molto sul benessere; poi ci sono altre aziende che hanno lavorato molto poco, pensando che non fosse necessario. Secondo me manca ancora una consapevolezza condivisa da tutti del fatto che il benessere sia fondamentale. Attenzione però: un livello di benessere a misura della bovina. Ossia un modo di allevare che si adatti il più possibile alle loro esigenze fisiologiche, di comportamento e di attitudine. È vero che in una stalla dobbiamo tutti fare qualche compromesso in questo senso, ma ciò non vuol dire che in una stalla solo perché sulla carta ci possono stare 100 bovine questo sia sempre rispettoso della loro fisiologia e del rispetto della loro attitudine. Anzi, quando i numeri crescono, quando le stalle contengono centinaia e centinaia di capi, la cosa diventa quasi impossibile. Perché manca quello che è il requisito di base del benessere animale: lo spazio.

Dare più spazio alle bovine significa anche creare una zona esterna per il movimento degli animali, quella che Lorenzo Leso chiama di pascolo funzionale con una felice definizione, dato che ha una duplice attitudine: un po’ pascolo, un po’ area di movimento. Con te, ovviamente, sfondiamo una porta aperta…

Ovviamente. sono d’accordissimo con quanto dice e scrive Lorenzo Leso e ritengo che un’area di pascolo funzionale garantisca un enorme miglioramento del benessere delle bovine in ogni situazione, come in ogni situazione, o quasi, essa può essere realizzata. Dico “quasi” perché faccio fatica ad immaginare un’area del genere per una stalla di 1000 capi, per tornare al discorso di prima. Ci sono misure che accrescono enormemente il benessere animale ma che oggettivamente sono impossibili da realizzare per stalle di grandi o grandissime dimensioni. Su questo invito a riflettere, soprattutto per un’area come il Parmigiano Reggiano dove, personalmente, sarei favorevole a definire una dimensione massima delle stalle che non è possibile superare come tutela di sostenibilità e di benessere. (1- segue)

Elena Dorighi.