Intervista a Richard Echeverri Erk.
“In tanti anni in cui mi occupo di mastiti ho capito una cosa: l’importanza del benessere animale. Se una vacca sta bene nell’ambiente si riproduce meglio, produce il latte che dovrebbe in base al suo patrimonio genetico e alla sua alimentazione, ha un sistema immunitario efficiente. C’è un collegamento positivo, diretto, tra il luogo in cui teniamo le vacche, come le alleviamo e le risposte che l’animale dà ad attacchi di agenti infettivi”.
A parlare così è Richard Echeverri Erk medico veterinario colombo-tedesco con una lunga attività proprio nel campo del controllo e della prevenzione delle mastiti.
Attualmente ricopre il ruolo di Responsabile tecnico scientifico di Klareco Divisione Zoo dove segue lo sviluppo di prodotti per igiene e disinfezione in ambito zootecnico, ma passa anche molto tempo negli allevamenti per assistenza ad allevatori e per corsi di formazione.
Insomma, uno che la mastite bovina la conosce bene, sul campo e non per sentito dire. Eppure, parlando con lui, ce ne vuole prima che il discorso tocchi questo o quell’infettivo responsabile dell’infezione.
Perché molto, molto di più è proprio il tempo che dedica a spiegare che, prima di tutto, ci vuole benessere, pulizia, buona gestione, spazi e ambienti adatti. Solo alla fine si può cominciare a ragionare di questo o quel patogeno e del loro trattamento.
Quindi per parlare di mastite bovina, di cellule, di qualità del latte è da qui che bisogna partire, giusto?
Sì, esattamente. Mi occupo di sanità della mammella da tanto tempo e questo modo di inquadrare il problema è fondamentale per arrivare a una sua soluzione. Bisogna lavorare sulle cose basilari: routine di mungitura, cuccette, abbeveratoio, pulizia delle corsie, controllo del caldo estivo e riduzione degli stress.
Facciamo qualche esempio…
Dalle cuccette dipende il tempo di riposo della vacca e c’è un collegamento diretto con la prevenzione delle mastiti. Se la cuccetta è progettata in modo non conforme l’animale si metterà in diagonale e defecherà molto di più nella cuccetta. L’ultimo terzo della cuccetta diviene così un ambiente ideale per la proliferazione di germi. Dobbiamo poi considerare gli abbeveratoi.
È importante avere dei buoni abbeveratoi all’uscita dalla sala di mungitura, per dare modo alle vacche di bere a volontà all’uscita dalla sala. Una bovina che beve a sufficienza mangerà anche di più, resterà più tempo alla greppia prima di coricarsi in cuccetta, un tempo sufficiente per la chiusura degli sfinteri del capezzolo, riducendo il rischio di entrata di germi dannosi in mammella.
Inoltre aumenterà l’ingestione di sostanza secca, con ovvie ripercussioni sulla loro produttività.
Molto importante è anche la gestione della corsia e la frequenza di passaggio della ruspetta. Una corsia pulita riduce la sporcizia degli arti e il rischio di portare deiezioni in cuccetta allorché la vacca si corica. Peggio ancora, quando il livello di igiene è molto scarso, un arto, uno stinco, una pastoia imbrattata di feci entreranno a contatto inevitabilmente con uno o più capezzoli quando l’animale è coricato.
E poi non dobbiamo trascurare il danno di avere animali che arrivano molto sporchi alla mungitura. Tutto l’impianto si sporca e costringe il mungitore a un lavoro supplementare per la pulizia delle mammelle. Cosa che richiede tempo e, con il procedere della mungitura e la stanchezza del mungitore, non è detto che sia fatta sempre con la stessa attenzione.
Ricordiamo poi che in un ambiente sporco si tende a essere meno attenti alla pulizia, in qualche modo ci si adegua, e il risultato finale non può che peggiorare.
Altro punto importante la ventilazione e il controllo dello stress da caldo, aspetti resi ancora più importanti dalla tropicalizzazione del clima italiano e dalla sempre maggiore durata della stagione calda. Non solo l’animale va incontro a una maggior pressione microbica ambientale, ma una bovina che che subisce uno stress da caldo ha una capacità di risposta immunitaria più debole ed è quindi più suscettibile anche a una infezione in mammella.
Possiamo continuare, anche considerando aspetti magari ritenuti minori: le spazzole, ad esempio. Le bovine devono avere la possibilità di grattarsi, cosa che in natura fanno sfregandosi contro un albero. Questo dà loro relax e permette di liberarsi da piccoli parassiti, invisibili a occhio nudo, che spesso sono presenti sulla pelle e son un’ulteriore potenziale causa di stress.
Quale è il tuo metodo di lavoro quando ti chiamano per un problema di mastiti in una stalla?
In queste situazioni la prima cosa che faccio è girare a lungo nell’allevamento, guardare, osservare con attenzione ogni dettaglio. Voglio capire in che ambiente vivono le vacche, quale è lo score dell’igiene, come sono le cuccette. In particolare mi focalizzo sulla zona di asciutta e poi su quella della transizione.
È in questa fase, mediamente tre settimane prima e tre settimane dopo il parto, che si concentrano i rischi maggiori. Fatto il giro della stalla entro in sala di mungitura e osservo come si lavora, i protocolli seguiti, il clima che si respira, l’atteggiamento dei mungitori tra loro, verso le bovine, con il titolare.
A questo punto – e in genere mi sono già fatto un’idea su quello che potrebbe esserci che non va – si entra in ufficio e con allevatore e capostalla si guardano i tabulati, le vacche trattate, le analisi di laboratorio effettuate, gli animali problema. Quindi cominciamo a predisporre uno schema di soluzione che però prevede sempre, innanzitutto, di rimediare ai punti deboli rilevati nelle strutture, nella gestione, nelle prassi di mungitura. E posso dire che molte volte basta questo per ridurre di molto il problema, a volte addirittura risolverlo. Non solo. In genere migliora anche tutto il resto. Solo a questo punto si comincia a parlare di farmaci.
Un approccio che punta molto sulla prevenzione quindi…
Io credo che quando dobbiamo trattare una vacca per una mastite certifichiamo un fallimento, nel senso che siamo arrivati in ritardo. La miglior situazione è quella dove possiamo individuare ed eliminare le potenziali cause di infezioni mammarie, quindi agendo fondamentalmente sulla prevenzione.
Certo, in passato non era così. L’approccio tipico veterinario era prettamente curativo: c’era la mastite, si curava, senza stare troppo a ragionare sulle cause e su come si potesse prevenire il problema, capendo e lavorando sulla catena dell’infezione. È un approccio molto simile a quello delle zoppie: anche per loro ci sono cause multifattoriali su cui si deve lavorare. È come un puzzle, fatto di tanti pezzetti: spesso la soluzione è trovare la tessera debole che fa saltare tutto il resto.
Ora vedo però che una mentalità di prevenzione è molto più presente, anche per la necessità di ridurre l’uso degli antibiotici. Ciò è molto positivo, perché se non si lavora sulla prevenzione è tutto inutile.
Nella prevenzione c’è anche una buona formazione del personale, in particolare dei mungitori?
Sicuramente. Per avere latte di qualità si deve far diventare la mungitura un lavoro di qualità. E questo passa, inevitabilmente, dal lavoro dei mungitori. Le regole sono: comunicare, spiegare, motivare. Non basta dare ordini o dire sommariamente quel che va fatto, specialmente se è un cambiamento del modo di lavorare rispetto al passato che richiede una fatica e un apprendimento.
Non è nemmeno detto che sia loro tutto chiaro. Per questo serve tempo e dedizione. Il proprietario della stalla deve passare del tempo in sala di mungitura con il proprio mungitore o mungitori, mostrare esattamente quel che va fatto, magari per più giorni, fino a che avrà la certezza che il nuovo protocollo sia stato acquisito. Non solo.
È necessario coinvolgere i mungitori, spiegare il perché di certi cambiamenti e tenerli informati sui risultati della stalla che toccano direttamente il loro lavoro. Io propongo sempre di mettere un cartello, magari nello spogliatoio, dove vengano aggiornati costantemente alcuni dati chiave, in maniera facilmente comprensibile, ad esempio con un grafico: produzione di latte, andamento delle cellule, andamento della carica batterica, andamento delle mastiti.
E, di tanto in tanto, l’allevatore dovrebbe confrontarsi su questi numeri con i mungitori, raccogliere i loro pareri, farli sentire coinvolti appieno nell’andamento della stalla, magari dando dei premi per obiettivi raggiunti. Non si pensi che questo sia tempo perso, tutt’altro.
Un mungitore può diventare un buon mungitore e anche un ottimo mungitore, se trova un ambiente di lavoro in cui è seguito, motivato e valorizzato. E con un ottimo mungitore c’è sempre un buon latte, anche con una stalla mediocre. Non vale invece il contrario: un’ottima stalla e un mungitore mediocre non porteranno mai a un buon latte.
