Continuiamo la chiacchierata con Elena Dorighi, veterinaria e allevatrice ella stessa. Nel precedente articolo ci eravamo concentrati sul benessere animale, requisito fondamentale per ogni idea di allevamento, tanto più per un allevamento da Parmigiano Reggiano. Continuiamo, riprendendo il tema del benessere e ampliandolo. Ad esempio riguardo all’importanza dello spazio per le bovine.
Dare più spazio alle bovine significa anche creare una zona esterna per il movimento degli animali, quella che Lorenzo Leso chiama di pascolo funzionale con una felice definizione, dato che ha una duplice attitudine: un po’ pascolo, un po’ area di movimento. Con te, ovviamente, sfondiamo una porta aperta…
Ovviamente. sono d’accordissimo con quanto dice e scrive Lorenzo Leso e ritengo che un’area di pascolo funzionale garantisca un enorme miglioramento del benessere delle bovine in ogni situazione, come in ogni situazione, o quasi, essa può essere realizzata.
Dico “quasi” perché faccio fatica ad immaginare un’area del genere per una stalla di 1000 capi, per tornare al discorso di prima.
Ci sono misure che accrescono enormemente il benessere animale ma che oggettivamente sono impossibili da realizzare per stalle di grandi o grandissime dimensioni. Su questo invito a riflettere, soprattutto per un’area come il Parmigiano Reggiano dove, personalmente, sarei favorevole a definire una dimensione massima delle stalle che non è possibile superare come tutela di sostenibilità e di benessere.
Nella tua stalla il pascolo funzionale è stato inserito da circa sei mesi: dalla tua esperienza che consigli si possono trarre?
Esatto, ed è destinato alle manze gravide e a tutte le bovine in asciutta. Innanzitutto va organizzato in un area comoda, vicina all’azienda, per poter gestire bene gli animali. Serve un punto di abbeverata importante e dei recinti fatti come si deve.
Io ho messo un porta balloni per il fieno e un “cubo” di mangime a cui le bovine accedono liberamente, perché l’apporto alimentare del pascolo funzionale è minimo.
È importante fare le cose bene in termini di recinzioni: io ho usato un recinto olandese, di ottima qualità, a un prezzo accessibile. Questo per dire che parliamo di cifre affrontabilissime. Ovviamente va “sacrificata” una parte di terra.
Nel mio caso 4500 mq di quello che era in precedenza un seminativo per una decina di animali al massimo. Le bovine hanno la possibilità di stare fuori o in stalla in base alle preferenze, senza nessuna interferenza, decidono loro dove stare, come e quanto. È qualcosa di assolutamente fantastico e consigliabile.
Addirittura si dovrebbe pensare a questa organizzazione per tutta la mandria, non solo per le asciutte, perché aumenta lo spazio e perché allarga le possibilità di sviluppare le proprie attitudini comportamentali da parte delle bovine.
È la ragione per cui sono anche favorevolissima al robot di mungitura…
In effetti la mungitura non di rado è il collo di bottiglia di tutto ciò che si fa di buono in allevamento…
L’argomento è importante perché forse qui ci stanno le criticità maggiori nelle stalle, dove la questione si intreccia con quella della disponibilità e della qualità della manodopera.
Vale per le piccole come per le grandi stalle.
Questa è un’area di debolezza abbastanza diffusa perché nel momento in cui va tutto bene il problema non si pone.
Ma quando hai un problema in stalla, magari di cellule, e devi affrontare tematiche di risanamento, diventa complicato fare concreti passi avanti, quando il rapporto è con l’operatore straniero o con l’allevatore (nel caso di stalle piccole) di una certa età, per cui diventa difficile per il tecnico trasferire e far applicare le direttive in queste realtà.
Quindi sì, ritengo la sala di mungitura ancora uno dei punti critici della stalla. Anche per questo vedo nel robot un’alternativa desiderabile e forse risolutiva.
Come hai affrontato il tema dell’asciutta selettiva nelle stalle che segui?
Questo è un capitolo ampio e il passaggio tra il prima e il dopo a mio avviso richiede ancora lavoro e impegno, soprattutto a livello di educazione. Ci vuole tempo e pazienza, serve un lavoro di rieducazione che coinvolga la gestione e le strutture, perché nelle stalle sono cambiate molte cose negli ultimi decenni.
Ci sono più animali, produzioni molto più alte anche a fine lattazione, meno spazio, quindi più problematiche di igiene e di lettiera.
Il tema della riduzione del trattamento antibiotico in asciutta è assolutamente corretto, ma va affrontato in un quadro complessivo con l’allevatore: faccio l’asciutta selettiva, ma contestualmente faccio anche altro per migliorare la situazione nella stalla, per dare più igiene e benessere e per migliorare le pratiche di mungitura.
Pensare di non fare trattamenti all’asciutta lasciando tutto come prima è solo una via per il disastro.
L’asciutta selettiva ha il merito di avere aperto la discussione e illuminato l’attenzione su una serie di pratiche gestionali che prima erano magari un po’ carenti, ma venivano coperte dal farmaco e questo vale anche per altri ambiti.
Doveroso coprire un’urgenza o una situazione particolare, ma un trattamento farmacologico non può essere la scorciatoia per evitare di mettere in discussione pratiche errate.
Chiudiamo tornando a parlare di benessere animale. Che sia fondamentale per le bovine è stato sottolineato, ma la questione ha anche dei costi per l’allevatore, anche importanti, per fare seguito a ciò che gli viene chiesto. Può farcela?
Questa è una questione fondamentale e va sottolineata con forza! Adeguare la stalla alle misure per il benessere animale ha un costo importante per l’allevatore.
È il costo degli investimenti per adattare le strutture e c’è il costo della mancata produzione che si verifica allorché si diminuisce il numero degli animali in stalla per dare loro più spazio.
Questo mancato reddito andava magari a coprire i costi fissi della stalla, che tuttavia rimangono e, anzi, sono magari aumentati proprio per i costi sostenuti.
Non si può quindi chiedere agli allevatori di fare investimenti per aumentare il benessere animale senza che questo sia accompagnato da una valorizzazione del latte e senza che le aziende possano contare su un sostegno economico adeguato. In forma di fondi, di aiuti o anche premi. Altrimenti c’è il rischio concreto che tante aziende, specialmente quelle di dimensioni minori, non ce la facciano