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Quale razionamento per la migliore efficienza dell’apporto proteico

Il tema dell’alimentazione azotata e proteica della bovina da latte è di grande interesse per il mondo scientifico e operativo.

Nella scorsa scheda (clicca qui) avevamo fatto una introduzione dedicata a fonti aminoacidiche, meccanismi della sintesi proteica nel rumine e obiettivi del razionamento.

Completiamo ora la trattazione entrando nel vivo del razionamento.

Si possono ottimizzare le razioni per l’efficienza di utilizzazione delle proteine

Sono oggi disponibili sistemi di calcolo per l’ottimizzazione delle razioni che, rispetto al passato, consentono di migliorare nettamente l’efficienza di utilizzazione delle proteine e dell’azoto al contempo esaltando la produzione e il contenuto di caseine del latte.

Le stime sono tanto più attendibili quanto più precise siano:

  1. la conoscenza della composizione dei foraggi e dei mangimi inclusi nelle razioni;
  2. la definizione dei fabbisogni degli animali allevati
  3. il controllo della modalità di somministrazione delle razioni, delle condizioni di benessere delle bovine e la conoscenza del consumo giornaliero di sostanza secca;
  4. la copertura dei fabbisogni di fibra da foraggi che al contempo dovranno essere efficaci nel mantenere la ruminazione e essere digeribili per esaltare l’ingestione.

Nei moderni sistemi di calcolo delle razioni, il fabbisogno proteico non è più espresso come avveniva nel passato, in termini di grammi di proteina grezza; le stime dei fabbisogni si effettuano considerando le proteine digeribili intestinali (PDI) nel sistema Systali dell’INRA francese e le proteine metabolizzabili (PM) nei sistemi “NASEM” e “CNCPS” nord americani e nel sistema “NORFOR” dei paesi scandinavi.

In tutti questi sistemi, seppure le procedure di calcolo siano diverse, la base scientifica è la stessa e per tutti l’obiettivo è quello di assicurare all’animale tutti gli amminoacidi di cui ha bisogno con il minimo uso di proteine nelle razioni.

Per questo gli stessi sistemi, con qualche differenza indicano i migliori rapporti fra gli amminoacidi da perseguire tenendo anche conto dell’energia disponibile.

Razioni per Parmigiano Reggiano, indicazioni pratiche

Il Regolamento di alimentazione delle bovine il cui latte è destinato a produrre Parmigiano Reggiano promuove la massima utilizzazione dei foraggi per garantire la massima funzionalità ruminale, la salute delle bovine e per rafforzare il legame con il territorio della produzione del Parmigiano Reggiano.

La medica affienata se coltivata, raccolta, conservata e utilizzata convenientemente rappresenta un’ottima fonte di proteine per le bovine dato il suo buon profilo amminoacidico; sempre fra i foraggi anche le graminacee sono interessanti.

Fra i principali mangimi permessi vi sono la soia, il pisello, il favino, il girasole decorticato, il lino e la semola glutinata; vietate altre fonti per i negativi effetti attesi sulla qualità del latte e del formaggio.

Anche l’impiego di urea e fonti di azoto non proteico sono vietati; tali divieti non appaiono limitare, sotto il profilo nutrizionale, le razioni normalmente utilizzate nel comprensorio.

La copertura del fabbisogno di adeguate fonti azotate per i batteri del rumine, di proteine metabolizzabili e di amminoacidi per la bovina, può essere assicurata da quantità di proteine grezze diverse a seconda della quantità di sostanza secca assunta e delle quote e di carboidrati utilizzati; in particolare sono quelli degradati nel rumine che esercitano i ruoli più importanti.

La qualità della base foraggera fa la differenza

In definitiva quindi, le caratteristiche qualitativa della base foraggera determinano scelte di razionamento diverse.

A titolo di puro esempio, in tabella 1, si riporta il confronto teorico fra due diete basate sull’uso di fieni di media o ottima qualità. I cereali indicati sono rappresentati da mais fiocco e mais, orzo e sorgo in farina presenti negli stessi rapporti (25%); il mangime fibroso è costituito da crusca di grano tenero, polpe di bietola e buccette di soia presenti in eguali quantità.

Come si può osservare, la disponibilità di fieni migliori consente di ottenere la stessa quantità di proteine metabolizzabili riducendo la quantità di proteina della razione di 150 grammi al giorno (24 grammi di azoto circa in meno); in particolare, si può risparmiare 1,2 kg/capo/die di soia farina di estrazione; sempre in teoria l’efficienza di utilizzazione dell’azoto migliora del 2,3% circa con un calo dell’urea nel latte da 23-24 a 20-21 mg/dl.

Attualità e prospettive

Già oggi, la migliore conoscenza delle caratteristiche qualitative degli alimenti, della fisiologia digestiva e del metabolismo delle bovine, unitamente alla disponibilità di sistemi predittivi molto più precisi, consente di sviluppare razioni con apporti proteici più contenuti rispetto al passato migliorando al contempo le risposte produttive e sanitarie delle bovine.

Il lavoro di selezione genetica promosso dal Consorzio del Parmigiano Reggiano, in collaborazione con le associazioni di razza, orientato in particolare al miglioramento delle concentrazioni di caseina del latte, comporterà nel futuro di avere in stalla animali che a parità di apporti azotati siano più efficienti.

Già attualmente nelle nostre stalle disponiamo di animali capaci, a parità di ingestione di alimenti e di proteine, di produrre quantità di caseine significativamente più elevate.

Le motivazioni che giustificano queste differenze, almeno in teoria, risiedono in un assetto endocrino-metabolico tale da consentire a questi animali di convertire con maggiore efficienza gli amminoacidi in proteine muscolari e del latte e di trattenere maggiori quantità di azoto riducendone l’escrezione in ambiente. 

In definitiva, la disponibilità di fieni di buona qualità consente già ora di contenere entro il 15% la percentuale di proteine delle razioni e per il futuro possiamo attenderci, a parità di apporti alimentari, percentuali di caseina ancora maggiori rispetto alle attuali.

In tal senso la produzione di Parmigiano Reggiano diverrà ancora più sostenibile rispetto al suo territorio di produzione.  

Andrea Formigoni

Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie – Università di Bologna